«Cultura digitale e mercati, servono più dirigenti in azienda»
Carella (Manageritalia): siamo indietro rispetto a Francia, Germania e Gran Bretagna
«I manager prendano coscienza che devono sviluppare uno spirito movimentista, altrimenti si corrono grandi rischi. La digitalizzazione sta rendendo il cambiamento velocissimo e sta portando a una polarizzazione che va contrastata. Va difeso il bene comune». La chiamata arriva da Guido Carella, presidente di Manageritalia, la Federazione nazionale dei dirigenti, quadri ed executive professional del terziario che rappresenta, in Italia, oltre 37.000 manager. «Rispetto alle altre rivoluzioni industriali quella digitale rischia di creare molti problemi se non si interviene subito e il ruolo dei manager può essere decisivo».
Quali problemi vede?
«Oggi la scarsa capacità adattiva sta creando una maggiore polarizzazione. Nella prima rivoluzione industriale l’innovazione fu senza dubbio rapida, ma consentì di far convergere le conoscenze e di avere subito benefici. Con il digitale invece le competenze non convergono ma si stanno polarizzando».
Un problema soprattutto per quelle aziende senza accesso alle tecnologie o a figure manageriali adeguate?
«Nelle piccole e medie imprese italiane di cultura digitale ce ne è poca. Manca visione prospettica e questo crea certamente problemi nel mondo del lavoro, soprattutto per chi lo ha perso. Ma il problema è anche di tipo dimensionale: molte Pmi non hanno proiezione verso la crescita e la managerializzazione. Spesso gli imprenditori restano ancorati a una cultura del passato, faticano a uscire dalla logica familiare. Certo, ci sono anche imprenditori visionari che hanno introdotto cultura manageriale nelle proprie aziende. Serve però anche una visione politica».
Una pianificazione?
«I politici puntano troppo sul consenso a breve mentre per ripartire l’italia avrebbe bisogno di piani decennali. Ma abbiamo dei vincoli politici enormi e questo sta creando non pochi problemi nel mondo del lavoro».
Cosa vuol dire?
«Se manca la pianificazione a livello politico, per un manager è difficile orientarsi. Mancano i riferimenti per lavorare sull’occupabilità della persona, sull’inserimento o il reinserimento nel mondo del lavoro: se non conosco i piani del governo non posso sapere quali professionalità serviranno al mercato e dunque quale
Al vertice formazione è necessaria».
Come se ne esce?
«Bisogna partire dalla Costituzione e lavorare a una riforma che snellisca lo Stato e la burocrazia portando efficienza. Poi serve uscire dalla spirale della bassa crescita. C’è una parte del Paese che sembra ormai abituata gli equilibri sociali che l’economia stagnante ha generato, ma dobbiamo uscire da questo impasse e guardare alla crescita. Dov’è finito il partito del Pil, certo di qualità e pure sostenibile?».
E i manager cosa possono fare?
«Spingere per una maggiore cultura manageriale nelle imprese è fondamentale. Oltre alla cultura digitale spesso manca visione sui mercati esteri, capacità di pensare in modo aggregativo. Le nostre aziende sono molto indietro rispetto agli altri Paesi europei: in Italia c’è 1 manager ogni 100 dipendenti, in Francia, Germania e Gran Bretagna il rapporto è di 3 o 5 a 100. Inoltre solo il 27% delle nostre imprese familiari è guidata da un manager esterno, contro l’80% dei principali competitor europei. Dalle nostre ricerche emerge che a parità di settore di business, nelle Pmi dove c’è un manager alla guida fatturati e occupazione crescono».
Quindi lei chiede un ruolo centrale per i manager.
«Noi possiamo decodificare i nuovi flussi del mondo del lavoro e educare alla gestione delle tante transizioni in atto. Tutte importanti. I manager devono sviluppare uno spirito movimentista e guidare una rivoluzione etica, economica e sociale. Spetta a loro individuare le sfide e dare risposte alle trasformazioni. I manager hanno un dovere sociale: il bene comune va difeso»
Come?
«Attraverso modelli di rappresentatività politica e sociale. Manageritalia oggi prevede tre livelli di azione: sindacale, istituzionale e socio-politico. Il primo è quello più tradizionale e riguarda la negoziazione e la firma di contratti collettivi di lavoro. Il secondo viene svolto attraverso la Cida (la Confederazione italiana dirigenti e alte professionalità) che ha riconquistato un ruolo importante, che la politica in questi anni era arrivata a disintermediare. Infine il ruolo socio-politico».
Una novità.
«Da sempre operiamo come Manageritalia nel sociale per esempio con il progetto di alternanza scuola-lavoro food4minds, andando soprattutto al Sud. Ma negli ultimi anni abbiamo costituito anche la Fondazione Prioritalia, che vuole portare l’impegno e il contributo civile dei manager nella società sviluppando innovazione sociale e rigenerazione civica. Abbiamo realizzato, tra gli altri, progetti per favorire l’occupabilità dei giovani inoccupati e il decollo di startup innovative (VO.LA.RE.), per l’inclusione al lavoro dei disabili. In partnership con ASVIS promuoviamo sostenibilità e inclusione a tutti i livelli».