«Troppa tattica blocca la crescita Europei e Mondiali, ci divertiremo»
Il coordinatore Viscidi: «Una scala di analisi a colori, essenziale il lavoro con la palla»
BASSANO DEL GRAPPA A pochi chilometri da qui è cresciuto Baggio, un po’ più in là Del Piero. Poi la vena del talento si è seccata, a Nordest come in tutta Italia. La semina è ricominciata, i primi raccolti sono arrivati con il percorso in Nazionale dei vari Donnarumma, Barella, Romagnoli, Chiesa, Zaniolo. Il Mondiale di Qatar 2022 potrebbe essere quello della rinascita, ma anche l’europeo 2020 parte con buone prospettive: «Ci divertiremo. Il lavoro cominciato nel 2010 con Sacchi sta dando i suoi frutti e le Nazionali giovanili sono passate dal 19° al 4° posto del ranking europeo, in quello della Under 17 siamo davanti alla Francia. Quasi un miracolo. Il 2019 è stato incredibile e l’impulso dato da Mancini è fondamentale».
Maurizio Viscidi è il coordinatore tecnico di tutte le squadre azzurre, dall’under 15 all’under 21. La responsabilità di non ripetere il clamoroso «buco» di Russia 2018, e nemmeno i flop del 2010 e del 2014, dipende anche da lui: classe ’62, allenatore della Primavera del Milan negli anni d’oro di Sacchi e Capello, poi tecnico di B e C con alterne fortune. Adesso — secondo le 4 presidenze federali e i 4 c.t. che lo hanno confermato — è l’uomo giusto al posto giusto.
Faccio 200 giorni di ritiro l’anno con le nostre sette squadre, devo conoscere tutti i giocatori. Il 2019 è stato un anno incredibile, e l’impulso dato da Mancini è stato fondamentale
Lei dove lavora, Viscidi?
«Dove giocano le nostre Nazionali: faccio oltre 200 giorni di ritiro all’anno, perché per essere credibile, il coordinatore deve conoscere tutti i giocatori, assistere agli allenamenti, vedere le partite, per confrontarsi con gli allenatori delle nostre sette squadre e aiutarli. Ma sempre al di fuori dalla linea del campo».
Perché la crescita in azzurro è così importante?
«Le società fanno formazione, 25-28 giorni al mese. A noi tocca la valorizzazione, per i giorni restanti: portiamo i ragazzi in Europa a confrontarsi. La crescita e la visibilità sono commisurate a un parametro internazionale».
Non è sempre stato così?
«No, perché adesso l’italia arriva alle fasi finali dei tornei. Ad esempio dal 1987 al 2005 non ci siamo qualificati al Mondiale Under 20: se passi col rosso 18 volte di fila, prima o poi vai a schiantarti…».
Perché c’è stato un vuoto?
«I calciatori hanno smesso di auto-formarsi tra strada e oratorio. E la federazione non ha intercettato quel momento storico: quando siamo arrivati mancava un progetto comune, ad esempio non esisteva l’area scouting. Adesso siamo strutturati con 5 importanti aree (scouting, performance,
Adoro Guardiola, non il guardiolismo: tra i nati dal 2003 in poi facciamo fatica a trovare attaccanti. Sanno tutti fare sponda e rientrare, ma non cercano la profondità, l’uno contro uno e il tiro in porta
I nuovi italiani, sono una risorsa. Il miglior difensore del 2005 è nato a Bassano e gioca nel Bologna, ma i suoi genitori non hanno la cittadinanza e fino a 18 anni non possiamo convocarlo
match analysis, portieri, medica) e siamo molto presenti sul territorio».
Com’è il lavoro di ricerca?
«Seguiamo tanto i ragazzi e nella valutazione applichiamo un sistema di colori in base all’interesse: rosso, giallo, celeste e azzurro. L’ultimo indica chi è da Nazionale».
Esposito dell’inter è sempre stato di colore azzurro?
«No, guardi qui, c’era un giallo: ‘‘partita svogliata’’, scrive l’osservatore. In quei casi bisogna indagare se è un episodio o meno. La cosa bella di Esposito è che è in azzurro dall’under 15, come Barella, Romagnoli e Donnarumma. Dobbiamo individuare presto il talento per fare un percorso di 60-70 gare internazionali».
Il talento è stato tarpato?
«Sì e il rischio c’è ancora. Negli Allievi del Padova ho allenato Del Piero: si faceva sempre uno contro uno, si calciava in porta, ci si fermava per le punizioni. L’abbiamo messo nelle condizioni di sviluppare il talento».
Risalita
● L’italia è arrivata terza ai Mondiali Under 20 nel 2017 e quarta nel 2019
● Il ranking Uefa che riguarda gli ultimi 4 anni vede l’italia al 4° posto nell’under 17, dietro Portogallo, Francia, Inghilterra
● Nella Under 19, l’italia è al 4° posto dietro Olanda, Spagna, Inghilterra
Poi gli imitatori di Sacchi hanno fatto dei danni?
«Sono stati un grosso problema: per anni si è pensato più alla tattica e alla parte atletica, che alla tecnica. Scimmiottando le metodologie del grande calcio, i bambini toccano troppo poco la palla. Così uccidiamo il talento».
Un altro esempio di questo rapporto sbagliato?
«Il guardiolismo. E io per Guardiola stravedo. Ma dai nati nel 2003 in poi abbiamo difficoltà a trovare attaccanti. La ricerca del gioco e del possesso ha creato centravanti bravi di sponda e a rientrare. Ma non cercano la profondità, non tirano in porta, non sono forti nell’uno contro uno e non sanno colpire di testa».
Allegri parla di libertà dagli schemi: ha ragione?
«Sì. E difatti in Nazionale non giochiamo secondo schemi rigidi, ma seguendo principi di gioco: la costruzione dal basso, l’ampiezza, la rifinitura sulla trequarti e la ricerca della profondità. È la stessa impostazione che vuole Mancini e il suo impulso ci dà la forza di fare calcio propositivo, anche quando può sembrare la strada più difficile».
I ragazzi italiani sono meno «affamati» di altri?
«Penso alla Serbia, che dieci anni fa aveva talenti impressionanti e mi consolo: in hotel, anche loro, come i nostri, pensano prima di tutto al wifi, per social e videogiochi. Almeno partiamo alla pari».
Il calcio come compete con gli altri divertimenti?
«Con le sfide negli spazi ridotti e con la palla al centro di tutto: ho visto di recente una partitella spettacolare in un parcheggio, poi è arrivato l’allenatore, ha comandato giri di campo, rovinando tutto».
L’italia è ultima per popolazione under 15. Un guaio?
«Sì e abbiamo bisogno dei nuovi italiani, sono una risorsa straordinaria: la politica non mi interessa, penso al campo. Il miglior difensore del 2005 gioca nel Bologna, è nato qui a Bassano, ma i suoi genitori non hanno la cittadinanza. E lui fino ai 18 anni non farà esperienza in azzurro».
Ci spiega lo spogliatoio «alla giapponese»?
«Tutto è nato da un episodio con la Under 18: uno spogliatoio lasciato pieno di fango. Da allora il capitano di ogni Nazionale fa la foto allo stanzone prima della gara e alla fine: deve essere uguale. È un gioco educativo».
Ma per i 14enni col procuratore l’azzurro cos’è?
«Tanti genitori non hanno l’atteggiamento giusto di fronte ai primi guadagni, ma la Nazionale è trattata con rispetto. E il nostro premio partita è la maglia azzurra».
Anche se si perde?
«L’importante è onorarla».