Lo sciopero silenzioso di chi smette d’investire
Le aziende non chiedono soldi e li lasciano sui conti correnti: nel 2019 sono saliti del 14,2%
Per la seconda volta negli ultimi dieci anni siamo di fronte a uno «sciopero degli investimenti»? Dopo la pubblicazione dei dati Abi sugli impieghi la domanda è più che legittima e serve a inquadrare una nuova difficile fase della nostra industria. Secondo l’associazione delle banche il volume dei prestiti nell’ultimo anno è diminuito dell’1,9% nonostante i tassi siano al minimo storico dell’1,27%. Le imprese chiedono soldi solo per far funzionare il capitale circolante o per ristrutturare il debito, a latitare sono invece gli investimenti.
Il paradosso è che sono più lungimiranti le famiglie che le aziende, infatti in un anno il volume dei loro finanziamenti ottenuti in banca (in prevalenza a fini immobiliari) è aumentato del 2,3%. Non è tutto.
C’è un’altra rilevazione ancor più interessante di fonte Bce. Lo stock dei depositi da parte di società non finanziarie presso le banche italiane è di oltre 318 miliardi, di cui 300 nei conti correnti. Tra dicembre ‘18 e novembre ‘19 questo gruzzolo è cresciuto del 14,2% e i mesi caldi sono stati agosto, settembre e novembre dell’anno appena finito. In 8 anni i capitali liquidi depositati in banca sono addirittura raddoppiati. La stessa Abi ci dice che nel 2019 i depositi di famiglie e imprese sono cresciuti di ben 83 miliardi (per avere un termine di paragone basti pensare che tutta la spesa dei turisti stranieri in Italia vale 46 miliardi). Cosa sta capitando quindi? 1. Si è interrotto il ciclo virtuoso degli investimenti che si è manifestato da metà 2014 fino al 2018. 2. Anche le imprese che fanno lodevolmente profitti in quest’epoca difficile alla fine scelgono di parcheggiare le risorse sui conti correnti invece di investirli sull’attività. 3. Tutto ciò è preoccupante perché viviamo un momento di grande discontinuità tecnologica e servirebbe tenere il passo dei concorrenti che innovano a passo spedito.
La prima volta che si era parlato di sciopero degli investimenti era stato nei primi anni Dieci: una ricerca presentata da Ucimu-confindustria aveva documentato come nel 2014 il parco macchine installato nella manifattura italiana fosse invecchiato come mai lo era stato (una media di 12 anni). Si è usciti da quel tunnel con i primi provvedimenti di super-ammortamento adottati nel 2015 e l’anno successivo ribaditi e ampliati con il piano Industria 4.0. Risultato: nel 2018 i produttori di beni strumentali e robot — un pezzo significativo del totale degli investimenti — avevano addirittura raggiunto il record di vendite in Italia con più di 5 miliardi in un solo anno e tutto ciò ha contribuito a ringiovanire il parco installato. La tendenza purtroppo si è invertita già nel 2019 e i dati sui conti correnti bancari sono perfettamente complementari per spiegare i comportamenti degli imprenditori. Ma il dato negativo non si limita all’acquisto di macchinari, investe anche la gestione delle scorte. Mentre nel 2018 il valore dell’accumulo di prodotti nei magazzini era salito di circa 2 miliardi, nel 2019 è sceso di botto di 6 miliardi. La differenza è notevole e indica persino una conduzione al ribasso del capitale circolante. Anche nella contrazione delle importazioni di beni intermedi si può rintracciare una scelta di segno analogo. Il motivo di tanta prudenza si può facilmente sintetizzare con la parola «incertezza», concetto ampio che spazia dal timore di uscire dall’euro all’instabilità politica passando per un giudizio più che scettico sull’azione dei governi di questa legislatura.
È chiaro però che così non si può andare avanti per molto e sarà interessante capire come il tema del superamento del blocco degli investimenti verrà immesso in agenda dai candidati alla successione di Vicenza Boccia alla presidenza di Confindustria. Perché, come dicono le banche senza tanti giri di parole, «non siamo noi a non concedere mutui, sono loro che i soldi non ce li chiedono».
L’incertezza
Il motivo della prudenza si può sintetizzare con la parola «incertezza»
I profitti
Le imprese versano i profitti nei conti correnti invece di investirli sull’attività