Corriere della Sera

UN TEST LOCALE TRASFORMAT­O IN ANTEPRIMA DELLE POLITICHE

- di Massimo Franco

Èdifficile che Matteo Salvini creda davvero al sogno del «ciao ciao » al governo di Giuseppe Conte e della maggioranz­a M5S-PD, se il 26 gennaio la destra vince le elezioni in Emilia-romagna. Qualora il risultato fosse davvero quello clamoroso che il leader della Lega addita, probabilme­nte la coalizione gialloross­a si chiuderebb­e a riccio per evitare il voto anticipato. Ma Salvini è condannato a crederci. Gli serve sia per mobilitare gli indecisi, sia per politicizz­are il voto, vista la debolezza della candidata del Carroccio.

Il suo schieramen­to può vincere se prevale una lettura «nazionale» della consultazi­one: nella storica «regione rossa», e in Calabria. In qualche misura, le dinamiche di queste settimane lo stanno favorendo. È come se le decisioni del Parlamento e del governo fossero appese al voto emiliano. La giunta per le autorizzaz­ioni che deve decidere se Salvini va processato per il blocco della nave Gregoretti col suo carico di migranti, è bloccata. E dietro i rinvii si indovina appunto il timore di regalare all’ex ministro dell’interno un argomento elettorale.

«Gente senza onore e senza dignità. Decidano», li incalza Salvini. Il fatto che i sondaggi diano i due candidati dell’emiliaroma­gna alla pari, per il Carroccio è già una mezza vittoria. La Lega sostiene di «sentire» addirittur­a un successo netto. Ha l’esigenza di mostrare un governo nazionale delegittim­ato e in minoranza nel Paese. E un’affermazio­ne in una regione guidata sempre dalle sinistre rappresent­erebbe una sorta di certificaz­ione, da sventolare non solo a Palazzo Chigi ma al Quirinale per chiedere elezioni politiche.

La scelta del Movimento Cinque Stelle di correre da solo si sta confermand­o perdente. Se il candidato del Pd prevale, significhe­rà che il movimento di Luigi Di Maio non conta. Se prevale quella leghista, i grillini saranno accusati di averla favorita, facendo mancare alla sinistra voti decisivi. Non bastasse, le tensioni nel governo Conte col partitino di Matteo Renzi si stanno trasferend­o sulle alleanze locali. L’ex segretario dem dice di vedere una strategia di avviciname­nto, quasi di saldatura, tra Pd e M5S. Lo schema gli serve per giustifica­re lo smarcament­o dal partito di Nicola Zingaretti, cercando una visibilità che finora non gli porta consensi.

Il Pd è irritato con Iv e con Azione, la formazione dell’ex ministro Carlo Calenda, anche perché sembrano alla ricerca di candidati autonomi in Puglia, dove si vota a primavera. Sono tutte manovre che creano nervosismo e mostrano un fronte delle sinistre spezzettat­o e rissoso. «Renzi e Calenda stanno facendo un regalo a Salvini», accusano i dem. Forse, però, il punto debole della loro strategia sta nell’approccio difensivo, in particolar­e in Emilia-romagna. Chiedere voti in una fase come questa solo per impedire che vadano al potere la Lega e FDI dilata le incognite sul risultato finale.

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