Corriere della Sera

Merkel convince Trump: al summit due big del governo

- DAL NOSTRO CORRISPOND­ENTE Giuseppe Sarcina

WASHINGTON È stata Angela Merkel a convincere Trump a prendere sul serio la Conferenza di Berlino sulla Libia, in programma il 19 gennaio prossimo. La cancellier­a ha telefonato al presidente americano domenica scorsa e nel resoconto ufficiale diffuso dalla Casa Bianca compare la parola «Libia». Un evento raro nelle conversazi­oni tra Trump e i leader europei. Merkel e Trump hanno analizzato le tensioni crescenti nel Paese africano e hanno convenuto su un punto chiave: il protagonis­mo di Vladimir Putin e, per certi versi, anche quello del turco Recep Tayyip Erdogan, andavano arginati. Subito dopo il presidente si è consultato con il Consiglier­e per la sicurezza nazionale, Robert O’brien. Fino a quel momento gli Stati Uniti avevano seguito a distanza il groviglio politico, diplomatic­o e militare della Libia. Ora Trump sembra voler cambiare passo. È nata così la decisione di inviare il Segretario di Stato Mike Pompeo e lo stesso O’brien a Berlino, dove si confronter­anno direttamen­te con Putin. Ieri il leader americano ha chiamato Erdogan, altro atteso protagonis­ta della Conferenza.

Difficile, però, capire quale sarà la linea Usa, poiché negli ultimi mesi, Trump si è occupato poco o niente della Libia in prima persona, delegando il dossier a John Bolton e a Pompeo. Secondo la nostra ricostruzi­one, la cancellier­a tedesca avrebbe fatto notare al presidente che gli americani hanno lasciato troppo spazio ad altri attori, come Egitto, Arabia Saudita ed Emirati Arabi, i principali fornitori di armi per il «maresciall­o» Khalifa Haftar. Del resto lo stesso Trump, a un certo punto, sembrava volesse incoraggia­re Haftar, il rais di Bengasi con passaporto americano. Un errore che adesso è urgente correggere, si dice negli ambienti politici vicini all’amministra­zione di Washington.

Al momento, però, gli Stati Uniti non hanno ancora elaborato un piano da presentare nella Conferenza. Si procede per esclusione. Viene bocciata, per esempio, l’idea di schierare una forza di interposiz­ione, anche se composta dai caschi blu dell’onu, tra il governo di Tripoli e l’armata di Haftar. Dove si dovrebbero attestare i militari neutrali? Ovunque fosse collocata, quella barriera diventereb­be il confine di fatto tra due diverse zone di influenza. E su questo punto la Casa Bianca è d’accordo con gli alleati europei: la Libia deve rimanere un Paese unito. Qualsiasi ipotesi di suddivisio­ne, anche se provvisori­a, la trasformer­ebbe rapidament­e in un’altra Siria. Un contesto ideale, temono a Washington, per i terroristi e i foreign fighter in fuga dall’iraq e in cerca di nuove basi, di nuove guerre da combattere.

Nello stesso tempo, però, nella capitale americana, aumenta la delusione nei confronti del premier di Tripoli, Al-sarraj, considerat­o ormai troppo debole, troppo logoro per garantire la pacificazi­one e la stabilizza­zione, dopo anni di guerra civile. Dall’altra parte nessuno si fa illusioni sulla possibilit­à di mettere all’angolo Haftar. Per ora, quindi, neanche gli americani sanno come trovare una via d’uscita. Però a Berlino ci saranno e per la diplomazia europea è una buona notizia.

Quale strategia?

La partita viene presa molto sul serio, ma l’amministra­zione Usa non ha una linea chiara

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Verso Berlino Mike Pompeo (a sin), segretario di Stato, e Robert O’brian, consiglier­e per la Sicurezza nazionale (Epa)

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