DA HUGO MICHERON UNA LETTURA NON BANALE DEL FENOMENO JIHADISTA
Uno dei libri del momento in Francia è il voluminoso saggio di Hugo Micheron sul «Jihadismo francese: quartieri, Siria, prigioni», pubblicato da Gallimard con la prefazione di Gilles Kepel. Micheron, 31 anni, ricercatore all’école normale supérieure e docente a Sciences Po, per cinque anni ha indagato nelle periferie e nelle altre zone a forte penetrazione islamista, ha viaggiato in Siria e ha intervistato 80 jihadisti detenuti nelle carceri francesi. Il risultato è una descrizione molto argomentata e poco ideologica dell’universo «salafojihadista». Già questa espressione rivela le conclusioni dell’indagine di Micheron: il salafismo (il ritorno a un islam ortodosso, basato sull’osservanza rigida dei precetti del Corano) e il jihadismo sono secondo lui fenomeni correlati, gli attentati terroristici islamici sono quasi sempre il passaggio all’atto di persone che da tempo avevano abbracciato una visione salafita dell’islam, simile a quella del wahabismo saudita. Quella di Micheron non è una visione banale in Francia, dove la stagione degli attentati islamici del 2015 ha prodotto una serie di teorie da lui definite «negazioniste»: l’islam non avrebbe niente a che fare con la jihad europea, il terrorismo islamico sarebbe una espressione di disagio esistenziale o sociale, i terroristi sarebbero solo degli emarginati, oppure semplicemente squilibrati che non sanno quello che fanno. Alcuni esperti in Francia hanno sostenuto che il salafismo con le sue pretese — dalla sottomissione quotidiana della donna agli orari separati per uomini e donne nelle piscine — fosse sì un problema per la convivenza civile, ma senza relazione con gli attentati. Micheron invece sostiene che il presente e purtroppo anche il futuro del terrorismo in Europa non si fonda sull’esistenza o meno di uno Stato islamico in Siria o in Iraq, ma sulla presenza sul nostro territorio di «enclave», quartieri dove i salafiti vogliono vivere come nella Raqqa dell’isis.