Il pizzaiolo resiste al robot in cucina
In America il 2020 è cominciato male per la ristorazione automatizzata. Zume Pizza, che dal 2015 usa dei robot per fare capricciose e margherite e si affida ad algoritmi per capire i gusti dei clienti anticipando le loro ordinazioni, a San Francisco era diventato il simbolo della rivoluzione alimentare che le tecnologie digitali stavano imponendo anche alla ristorazione più tradizionale: bracci meccanici che impastano e infornano pizze; furgoni dotati di forno elettrico per cuocerle mentre si raggiunge il cliente per una consegna a domicilio; perfino un robot specializzato nel taglio a fette della pizza. L’azienda sembrava andare a gonfie vele, con molte sedi, centinaia di dipendenti e quasi 400 milioni di dollari di finanziamenti dagli investitori del venture capital. Ma qualche giorno fa, senza dare troppe spiegazioni, Zuma ha licenziato l’80% della forza lavoro, annunciando che d’ora in poi si concentrerà sul packaging del cibo e sui servizi alla ristorazione: il pizzaiolo-robot non attira più. E nemmeno il barista androide: la catena Cafè X, le cui fortune poggiano sugli automi che preparano caffè, frappè e hamburger, ha chiuso tre esercizi nel distretto finanziario di San Francisco. Per una volta una battuta d’arresto della tecnologia fa tirare un sospiro di sollievo anche ai tecnologi che nella pausa pranzo non disdegnano il calore di un locale con le pareti di mattoni e il forno a legna. Le società tecnologiche stanno cambiando anche il modello di business dei ristoranti, molti dei quali si stanno trasformando in cucine che preparano pasti da consegnare a domicilio a clienti che non sono più in sala, anche perché spesso la sala non c’è: si risparmia sull’affitto, si viene incontro a clienti sempre più sedentari, si finisce nelle mani delle grandi piattaforme digitali di distribuzione come Doordash, Uber Eats e Grubhub. È una specie di uberizzazione della cucina. Non a caso il fondatore di Uber Travis Kalanick, costretto a lasciare la sua compagnia, ne ha creata un’altra, Cloudkitchens (finanziata con 400 milioni di dollari dal fondo sovrano saudita) che acquista edifici abbandonati in zone non lontane dai quartieri residenziali, li attrezza come cucine e li offre a chef che cucinano per clienti raggiunti attraverso piattaforme digitali. Accelera la ristorazione automatizzata a domicilio, ma forse non tanto da travolgere il business di trattorie e pizzerie.
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