RESPONSABILITÀ TRASVERSALI IN UNA VICENDA GESTITA MALE
La decisione del Senato sul processo a Matteo Salvini sarà presa il 20 gennaio, come voleva il leader della Lega e come è riuscito a ottenere il centrodestra. Per spuntarla, l’opposizione ha potuto usare nella riunione della giunta per il Regolamento il voto decisivo della presidente del Senato, Elisabetta Casellati. Ma il risultato è di esporre la seconda carica dello Stato all’accusa di parzialità da parte di M5S e Pd. E non si esclude che lunedì la riunione della giunta per le autorizzazioni venga disertata dalla maggioranza. Salvini sarebbe temporaneamente «salvo».
Ma gli verrebbe impedito di presentarsi come vittima della «giustizia politica» in vista del voto in Emilia-romagna e Calabria del 26 gennaio. La schermaglia parlamentare delle ultime settimane ha ruotato intorno a quella scadenza. M5S, Pd, Iv e Leu volevano che la votazione slittasse a dopo le elezioni. Salvini, invece, portando sulle sue posizioni FI e FDI, ha spinto per averla prima. Un quasi certo «no» della giunta al processo potrebbe non bastare, tuttavia. L’aula del Senato si esprimerà definitivamente a febbraio. E in quell’occasione il fronte anti-salviniano è intenzionato a prendersi la rivincita.
L’intera vicenda si presenta comunque deprimente e preoccupante. Affonda le radici nei veleni della rottura di agosto tra Movimento Cinque Stelle e Lega. E vede schieramenti che tendono a confrontarsi non sul merito delle accuse di sequestro di una nave di migranti, la Gregoretti, per la quale Salvini è chiamato in causa. Il conflitto è politico. Non per nulla il governo vuole che il leader leghista sia processato; ma ha fatto di tutto affinché la decisione non fosse presa fino al 26 gennaio. Le opposizioni sono decise invece a salvarlo; ma in parallelo vorrebbero che fosse mandato a processo subito, per mostrarlo come un perseguitato.
Su questo sfondo di tatticismi strumentali, è difficile per l’opinione pubblica capire. Si tratta di un’operazione così inquinata dai calcoli da parte di «colpevolisti» e «innocentisti», che scompare qualunque ombra di giudizio obiettivo. Se davvero c’è stato un sequestro, non si capisce perché aspettare. Se non c’è stato, in qualunque momento si decida, si commetterebbe una grave forzatura. A rendere più ambigua la questione è il precedente della nave Diciotti, per la quale pure l’allora ministro dell’interno fu accusato. Ma il Parlamento negò l’autorizzazione a procedere, con M5S e Lega alleati nel «no».
La tesi della maggioranza è che il caso Gregoretti sia diverso da quello della Diciotti, perché Salvini decise da solo: non ci fu collegialità. Difficile capire dove stia la verità. A occhio, verrebbe da dire che allora i grillini lo salvarono perché erano alleati di governo; ora lo vogliono far processare, perché sono diventati acerrimi avversari. Quanto all’epilogo di ieri, Pietro Grasso, ex presidente del Senato, afferma che «la vicenda è stata mal gestita»; e che «nessun ministro si può considerare sopra la legge». Analisi condivisibile. Ma nella cattiva gestione emergono responsabilità trasversali, che preparano altre forzature: da ogni parte.