Ora la festa c’insegni ad amarlo di più
«Oh gioia! oh ineffabile allegrezza!». Dopo nove mesi di gestazione, il governo, passato intanto dalla destra alla sinistra, ha varato quello che Francesco Sabatini ha chiamato Dantedì, evitando il rischio che qualcuno si inventasse un funesto e beffardo Danteday. C’è voluto meno di una legge elettorale, e più di una manovra economica, ma alla fine è arrivato il decreto. E sinceramente, considerato l’andazzo della coalizione, ci si potevano aspettare tempi prolungati (quasi) all’infinito. Invece a volte persino il governo italiano riesce a stupire. Come stupì, l’estate scorsa, la mozione (quasi immediata) dell’onorevole Michele Nitti, capace di raccogliere (udite udite) il consenso unanime della Camera. L’altra «ineffabile allegrezza» viene dallo scampato pericolo del 13 o 14 settembre, unica data quasi certa della biografia dantesca, quella della morte (1321): avrebbe incredibilmente tagliato fuori le scuole. Ma se c’è una ragione per festeggiare Dante ogni anno, è quella di richiamare attorno al Sommo Poeta, oltre alle biblioteche e ai teatri, alle università e alla piazze, ai cinema e alle librerie, le scuole italiane, di ogni ordine e grado: con letture, giochi, spettacoli, invenzioni teatrali o video, creazioni artistiche o musicali, viaggi, incontri letterari e, perché no, conviviali, sul modello del Bloomsday di Joyce (che l’irlanda festeggia anche al pub). Purché ogni iniziativa non si esaurisca in una giornata rituale di enfasi o di retorica, ma aiuti a conoscere e amare il testo poetico con le sue innumerevoli potenzialità emotive e culturali. Senza dimenticare che tutto nasce da lì: dal capolavoro eccelso che la scuola, naturalmente al di là del Dantedì, dovrebbe far studiare (cioè appunto far amare) di più e meglio. E siccome all’estero ammirano ciò che noi (di noi) talvolta sottovalutiamo («Ahi serva Italia»), va da sé che una Giornata nazionale dell’alighieri sarà anche una Giornata internazionale.