Corriere della Sera

«Me la godo poi vedremo»

«Vice o allenatore? Il dubbio mi ha tramortito, ma ho deciso: fino a maggio penso solo all’udinese»

- Stefano Agresti

Nessuno vuole essere Robin, ma Luca Gotti sì. Per questo lo guardano come se fosse un marziano arrivato per caso — o forse per sbaglio — nel mondo del calcio: l’udinese dopo l’esonero di Tudor gli ha consegnato la panchina, lui preferiva fare il vice. Eppure i risultati sono eccellenti, i friulani (al di là della sconfitta in Coppa Italia con la Juve) arrivano da tre vittorie di fila, adesso l’europa è molto più vicina della serie B. Ma questo veneto di 52 anni non è affatto convinto di diventare Batman.

Gotti, perché non vuole fare l’allenatore?

«Questione spinosa. Quando l’ho dichiarato intendevo sottrarmi al cono di luce, invece ci sono finito in mezzo proprio per questo».

 Stiamo uscendo dal calcio della prima repubblica, quando si cercava di ottenere il massimo con il minimo sforzo. Calciopoli è stata una sconfitta del sistema, ora le cose sono cambiate

Fatto sta che all’udinese ha detto: mi sento meglio da secondo che da primo.

«Ho una mia visione del calcio e della vita, la fama non mi aiuta a vivere meglio».

Nemmeno i soldi?

«Quelli sì e anche parecchio, ma bisogna valutare e pesare. La qualità della vita è un obiettivo primario, se devo peggiorarl­a tanto per avere due soldi in più, che poi sono quelli che servirebbe­ro a migliorarl­a, allora ci rinuncio. E c’è anche un aspetto deontologi­co».

Deontologi­co?

«Non è bello che un viceallena­tore prenda il posto del tecnico esonerato. Sembra che gli abbia fatto le scarpe».

 L’udinese non gioca il mio calcio ideale, ma dobbiamo sistemare la classifica e portare a casa la pagnotta: diciamo che cerchiamo di essere propositiv­i partendo da un atteggiame­nto un po’ diverso 

Ora abbiamo il Milan, una squadra in fiducia. In teoria è una sconfitta ripartire da un giocatore di 38 anni, ma bisogna vedere come risponde il campo: magari Ibra fa 15 gol

L’udinese però non le ha dato retta e l’ha lasciata in panchina.

«È una società storica, ha avuto percorsi eccezional­i, hanno scelto uno che non ha alzato la mano dicendo: prendete me. Immagino che qualche allenatore sia stato proposto, invece loro mi hanno spiegato: tu questa cosa la puoi fare bene, vogliamo te».

Hanno avuto ragione: i risultati sono arrivati.

«Abbiamo vinto tre partite di fila e sono state un tonico meraviglio­so, ma ne mancano ancora tante».

Qual è il suo obiettivo adesso?

«Vorrei raggiunger­e una posizione nella quale non hai più bisogno di punti per restare in A, in modo da dimostrare che non molliamo ugualmente. Mi piacerebbe far vedere che siamo diversi rispetto al calcio della prima repubblica».

E com’era il calcio nella prima repubblica?

«Ci si accontenta­va, si cercava di ottenere il massimo risultato con il minimo sforzo. È la nostra cultura, in fondo. Ma nello sport non può essere così: se non hai più traguardi da raggiunger­e, devi comunque fare di tutto per vincere».

Nella scorsa stagione ha lavorato al Chelsea con Sarri: là la mentalità è differente?

«Completame­nte. Là dicono: io do sempre il massimo, poi vediamo se vinco o no. Uno sportivo ha l’obbligo di spendere ogni goccia di energia in tutte le gare».

Ha un modello, un punto di riferiment­o da questo punto di vista?

«Alex Zanardi. Non lo conosco ma, a distanza, ho una stima smisurata di lui. Incarna il mio ideale di sportivo».

Il calcio italiano è ancora nella prima repubblica?

«Ne stiamo uscendo, forse ne siamo fuori, di sicuro siamo cresciuti. Dopo gli errori commessi in passato c’è stata un’evoluzione dei costumi, anche perché nel villaggio globale il sotterfugi­o e l’accordo sono più complicati. Adesso tutti vedono tutto».

Il Grande Fratello ha restituito regolarità al calcio?

«Sì. Sono in questo mondo da sempre, come giocatore e come allenatore, e in passato ho visto e vissuto situazioni alle quali non riuscivo a dare risposte».

Se le è date adesso?

«Quando ho visto gli arbitri deporre in tribunale e ho ascoltato le intercetta­zioni di Calciopoli sono rimasto colpito. È stata una grande sconfitta del sistema. Ora la situazione è cambiata».

Pensava che Sarri la portasse con sé alla Juve dopo la bella stagione al Chelsea?

«Credevo che sarebbe successo, sì. Tutti noi che facevamo parte del suo vecchio staff lo immaginava­mo e ne siamo stati convinti per 15 giorni. È stata un po’ una sorpresa che abbia fatto scelte differenti».

Ha capito perché non l’ha chiamata a Torino?

«Ex post i motivi li comprendo. Ha un rapporto e un’amicizia profondi con Martusciel­lo, gli aveva garantito che sarebbero tornati assieme se Maurizio fosse rientrato in Italia. Nessun problema, insomma».

L’udinese non è molto «sarriana»: per necessità o perché le sue convinzion­i sono differenti rispetto a quelle dell’allenatore della Juve?

«Il mio ideale di calcio, forse un’utopia, non sarebbe quello che adottiamo oggi, ma noi allenatori dobbiamo adattare il guanto alla mano. Qui c’era un pregresso storico legato alla difesa a tre e anche Tudor la usava, perciò sono andato avanti su questa strada. Io preferisco un calcio propositiv­o, non speculativ­o».

L’udinese specula?

«Dobbiamo sistemare la classifica e portare a casa la pagnotta, innanzitut­to. Diciamo che cerchiamo di essere propositiv­i, partendo da un atteggiame­nto un po’ diverso».

 Il mio modello è Alex Zanardi. Non lo conosco, ma ho una stima smisurata di lui. Perché dà sempre tutto quello che ha, e incarna il mio ideale di sportivo

E adesso le tocca il Milan.

«Una squadra in fiducia. A Cagliari non ha solo vinto, ha anche fatto bene. E in Coppa Italia ha giocato un’altra buona partita. Ibrahimovi­c ha portato positività nell’ambiente e nello spogliatoi­o».

Cosa si aspetta dall’udinese dopo tre vittorie di fila?

«Abbiamo conquistat­o tanti punti grazie alla mentalità: vorrei che non la cambiassim­o ora».

Se una grande società come il Milan riparte da un calciatore di 38 anni non è una sconfitta?

«Concettual­mente lo è, ma poi bisogna vedere come risponde il campo. Devono essere le partite a farci capire. Magari Ibra segna 15 gol e superiamo questa idea».

Gotti, parla più come uno studioso che come un allenatore.

«Ho avuto un mio percorso accademico su cui preferisco non addentrarm­i. Conosco il calcio: se comincio a parlare di lauree e master, mi chiamano professore e non è proprio il caso».

Ma tra un anno si immagina allenatore oppure vice?

«Quando ho preso in mano l’udinese, per settimane sono stato tramortito da questi dubbi. A un certo punto mi sono detto: Luca, goditela e vediamo come va. Quindi rispondo: vediamo come va».

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(Afp) Tecnico Luca Gotti, 52 anni, allena l’udinese. In basso, Alex Zanardi
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