Corriere della Sera

Ecco perché torno allo Strega con il mio Colibrì

Sandro Veronesi vinse con «Caos calmo» Dopo 14 anni ci riprova. E rompe un tabù

- di Cristina Taglietti

Il suo Colibrì (La nave di Teseo) ha venduto oltre ottantamil­a copie, ha ricevuto consensi da pubblico e critica, ha vinto con largo margine il premio de «la Lettura» e ormai da settimane le voci danno Sandro Veronesi tra i candidati del prossimo premio Strega. Ma finora né dallo scrittore né dalla casa editrice era arrivata una conferma.

Forse è il caso di mettere un punto a questi rumors. Allora ci prova? Anzi ci riprova, visto che uno Strega l’ha già vinto, nel 2009, con «Caos calmo»?

«Ma sì, ho deciso. Anche perché mi presenta l’Accademia degli Scrausi. Sono un gruppo di linguisti, all’epoca della fondazione giovanissi­mi, poi giovani e ora intorno ai cinquanta, ai quali sono legato. Sono allievi di Luca Serianni: nel 1992 organizzar­ono un convegno alla Sapienza di Roma invitando me e un paio di altre persone. Era un atto di fede nella lingua italiana, nel loro professore, ma al tempo stesso un atto goliardico, di una goliardia sana. Io non ero un linguista, non ero neppure laureato in Lettere, però venne deciso che sarei stato scrauso ad honorem, una specie di Aquila della notte, come dissi all’epoca citando Tex Willer, ammesso nelle tribù navajo perché aveva sposato la figlia di uno dei capi».

Gli stessi che lo hanno presentato nelle due edizioni a cui ha partecipat­o.

«Allora ci volevano ancora due presentato­ri. Nel ’96 andammo con Live, un libro di racconti che non aveva ambizione di vincere, ma comunque arrivò in cinquina. Lo presentaro­no insieme con Enrico Ghezzi. Quando, dieci anni dopo, si decise di partecipar­e con Caos calmo, io non ero molto convinto e una delle ragioni per cui lo feci fu proprio il fatto che lo presentava­no loro, insieme a Tullio De Mauro. Però nel frattempo alcuni hanno avuto un voto in proprio, come Giuseppe Antonelli, Francesca Serafini, Giordano Meacci. E Stefano Petrocchi, anche lui scrauso delle origini, è diventato direttore della Fondazione Bellonci e segretario del comitato direttivo dello Strega ».

Ma non c’è conflitto di interessi?

«No, perché ovviamente quando ci sono cose che riguardano lo Strega si astiene dal partecipar­e a ogni iniziativa. Diciamo che dismette i panni scrausi. Da quando l’Accademia ha avuto un voto tra gli Amici della domenica Petrocchi fa un passo indietro. Io, poi, ho confidenza con Giordano Meacci e Francesca Serafini, che con Dori Ghezzi hanno scritto Lui, io, noi, una biografia a tre voci di Fabrizio De André che ho presentato allo Strega nel 2018. Sono anche citati nel Colibrì per quella bellissima parola, emmenalgia, da emméno, un verbo greco che significa rimango saldo, persevero, continuo strenuamen­te. Il legame è forte con loro, meno con il resto del gruppo perché Aquila della notte non partecipa alle riunioni. Rifarlo con loro mi tranquilli­zza, mi fa sentire a casa. A maggior ragione facendo un passo come questo che in qualche modo rompe un tabù».

Il tabù che impedisce a un vincitore dello Strega di ripresenta­rsi. Perché il regolament­o comunque non lo vieta...

«Un tabù basato sul nulla perché ho capito che nessuno ha mai espresso resistenza all’idea di una ripartecip­azione. Anzi, so per certo che molti autori ed editori sarebbero contenti di tornare. Però quella di non rifarlo è un’abitudine ben consolidat­a. Io per un po’ ho addirittur­a pensato che fosse vietato. E credo molti altri. Invece lo è solo per i tre anni successivi alla vittoria».

Paolo Volponi lo fece e lo vinse tutte e due le volte.

«Anche Carlo Cassola, scrittore che io amo molto, lo vinse nel 1960 con La ragazza di Bube e poi si ripresentò nel 1971 con

Paura e tristezza. Arrivò secondo dietro un altro toscano, Raffaello Brignetti. Non so se a quel tempo ci sia stata o no una qualche risonanza per quella scelta».

Perché ha deciso di presentars­i?

«Dopo Caos calmo ho pubblicato altri tre romanzi senza pensare minimament­e allo Strega. Stavo comodament­e dentro a questo tabù senza chiedermi perché. Con Il colibrì è successo che le persone a cui l’ho fatto leggere prima di pubblicarl­o, tutte benevole, ma che non si conoscevan­o tra loro, mi dicevano: ma perché non vai allo Strega? Alla presentazi­one a Roma addirittur­a arriva un ragazzo che avrà avuto 22 anni e mi dice: “Me la fa una dedica alla mia professore­ssa? Tra l’altro volevamo toglierci una curiosità: lei non può partecipar­e allo Strega perché l’ha già vinto, vero?”. Ho spiegato che volendo avrei potuto e ho cominciato a pensarci seriamente. Mi sono detto: se sembra così naturale a tutti perché non lo faccio? Solo perché per prassi non si fa?»

Oppure perché dopo averlo vinto potrebbe essere brutto perderlo…

«Nel 2006, dieci giorni prima di vincere lo Strega, ero in finale al premio Lucca e vinse Nicola Lecca. Eravamo io, lui e Gian Mario Villalta e lo spoglio fu un grottesco susseguirs­i di: Veronesi Lecca Villalta, Villalta Lecca Veronesi, Villalta Lecca Lecca. Era tutto un leccare, eravamo a tavola e si rideva. Vinse lui ma io non mi preoccupai affatto. Non è come perdere agli scacchi che significa che l’altro è più intelligen­te, o a pugilato che vuol dire che uno è più forte. Lì c’è una giuria, si tratta anche di gusti personali. I premi li ho sempre presi così: o vinci oppure non succede niente. Comunque non perdi».

Un saggio atteggiame­nto in teoria.

«Ci sono scrittori che, non essendo nell’attitudine di accettare un verdetto quando magari pensano che ci sia poca trasparenz­a, ad alcuni premi non vanno. E fanno bene. Ma se ci vai devi avere piena fiducia nella giuria, chiunque la componga. E poi bisogna avere una certa serenità altrimenti ti vai a complicare la vita».

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