Corriere della Sera

Libia, ora è sfida sul petrolio

Oggi la conferenza per trovare una soluzione. Una bozza di accordo in sei punti Haftar blocca l’export alla vigilia del vertice di Berlino. Allarme rincari

- Agnoli, Battistini

Haftar gioca la carta petrolio alla vigilia del vertice di Berlino. Il generale libico blocca l’export del greggio. Non si escludono rincari sul prezzo dell’oro nero. Al summit pronta una bozza per un accordo.

Incertezza Non si sa se i leader libici siederanno allo stesso tavolo per discutere il piano Onu

Giù le carte. Che poi sono i mercenari, le armi, il petrolio. L’instabilit­à, la paura, il caos. Oggi alle 14, il mondo si ricorda finalmente della Libia e a Berlino si radunano i grandi per spegnere le troppe scintille d’una guerra che sta incendiand­o un’intera regione e per «evitare che davanti alle porte di casa nostra esploda una nuova Siria» (parole del ministro degli Esteri tedesco, Heiko Maas). Si scommette pesante e i giocatori arrivano, ciascuno, coi carichi che ha: il generale cirenaico Khalifa Haftar, coi consiglier­i militari di Mosca e la decisione last minute di chiudere i pozzi di petrolio, bloccando le esportazio­ni; il presidente tripolino Fayez Sarraj, col nuovo alleato turco che lo sta rifornendo di mercenari siriani e contraerea made in Usa; tutti gli altri, con la speranza di contare di più (Russia e Turchia) o di rischiare di meno (Europa e Usa).

Lo scenario di colpo si fa nero. Come il petrolio. E la carta migliore se la gioca Haftar poche ore prima della conferenza internazio­nale: causa «forza maggiore» — ovvero combattime­nti che durano da anni e per la verità non hanno mai toccato davvero i pozzi —, il generale rompe il tabù della Risorsa Nazionale, quella che ha evitato il collasso alla Libia del dopo-gheddafi e ha finanziato finora tutte le milizie, bloccando l’export dagli impianti centrali e orientali di Brega, Ras Lanuf, Hariga, Sidra e Zueitina. Una perdita secca di 800 mila barili al giorno (su 1,3 milioni), quasi due miliardi di dollari al mese, con l’accusa alla National Oil Company (Noc) — che sta a Tripoli e che Haftar voleva già in passato decentrare a Tobruk — d’usare il greggio «per sostenere le milizie siriane e turche» giunte in sostegno al governo Sarraj. «È come dare fuoco alla casa di tutti», avverte la Noc: «Petrolio e gas sono la nostra linfa vitale». Le «conseguenz­e saranno devastanti», teme l’onu. Il generale dà la colpa alle tribù locali, ma è evidente che le guardie della Mezzaluna petrolifer­a dipendono da lui: oggi, in cambio d’uno sblocco che tranquilli­zzi i mercati, chiederà il ritiro dei turchi e una nuova, più favorevole road map.

Che Libia sarà? La tregua imposta a Mosca da Putin ed Erdogan regge dal 12 gennaio, piccole violazioni a parte. Si tratta di capire se da Berlino tra Johnson e Merkel, Macron e Putin, Erdogan e Al Sisi, con Trump che riscopre il dossier nordafrica­no e invia Mike Pompeo — possa uscire una specie di pace. L’assedio di Tripoli dura da aprile. I siriani filoturchi, circa duemila, pagati 2mila dollari al mese e con la promessa d’un passaporto di Ankara fra sei mesi, sono pronti allo scontro con gli haftariani. All’ultimo minuto alla conferenza si presenta anche Sarraj, riluttante, per le voci che da giorni lo danno come la vittima designata e arrabbiato per l’esclusione dalla lista degli invitati di Tunisia e Qatar, suoi sponsor. Non si sa se il tripolino e Haftar siederanno allo stesso tavolo. Si sa che bozza di documento, in sei punti, verrà loro sottoposta: cessate il fuoco, embargo delle armi, processo politico d’unità nazionale, riforme economiche,

La forza sul campo La proposta prevede una commission­e Onu ma il punto chiave sarà la forza militare

nuovo sistema di sicurezza, diritti umani. La proposta prevede una commission­e internazio­nale Onu di controllo, che s’incontri una volta al mese in Libia o a Tunisi, più gruppi speciali di lavoro bisettiman­ali che rivedano i poteri di polizia e milizie, risistemin­o i centri di raccolta dei migranti, trasferisc­ano gli armamenti pesanti, ricostruis­cano il Paese. Condizione necessaria, che ci siano «passi credibili, verificabi­li, in succession­e e reciproci». Il punto chiave sarà la forza militare che faccia rispettare tutto questo: truppe europee, dell’unione africana, dell’onu? O niente del tutto?

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Bengasi Khalifa Haftar
Tripoli Fayez Sarraj Bengasi Khalifa Haftar

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