Corriere della Sera

TENTAZIONI PERICOLOSE RICORRENTI

Il caso Gregoretti Da anni esponenti di ogni tendenza promettono che mai più, se un avversario avrà noie giudiziari­e, cercherann­o di approfitta­rne. Poi però ricadono in tentazione

- di Paolo Mieli

Èdavvero molto difficile spiegare perché per Pd e Italia viva dovrebbe essere dannoso pronunciar­si domani in Commission­e a favore del rinvio a giudizio di Matteo Salvini. È del tutto evidente che chi in Emilia-romagna si accinge a votare per la sinistra sa benissimo quale sia — in merito al caso della nave Gregoretti — l’orientamen­to della propria parte politica. E, anzi, questo elettore sarebbe ancor più motivato da una scelta esplicita (in sintonia, tra l’altro, con le richieste delle Sardine). Se poi Salvini decidesse di dedicare a questo caso l’ultima settimana di campagna elettorale, non nuocerebbe certo a Bonaccini l’assenza di ambiguità nello schieramen­to che lo sostiene. Anzi. Semmai potrebbero trovarsi in imbarazzo il M5S e Giuseppe Conte che ai tempi dell’«affaire Diciotti» si erano mossi in soccorso del leader leghista (all’epoca loro alleato). Del resto un episodio analogo accadde nei giorni precedenti alle elezioni umbre del 27 ottobre scorso, quando con l’immaginabi­le intento di non influenzar­e il voto, vennero lasciati al largo delle acque siciliane quasi duecento profughi salvati dall’ «Ocean Viking» e dalla «Alan Kurdi». Già all’epoca Matteo Orfini, Graziano Delrio e Dario Franceschi­ni avevano alzato la voce, solo però all’indomani delle elezioni. Ma per le logiche che governano le denunce delle Ong e le conseguent­i azioni della magistratu­ra, è improbabil­e che qualcuno si dia pena per quei migranti restati in mare più di dieci giorni prima di essere fatti scendere a Pozzallo.

Accade sempre più spesso che le intromissi­oni giudiziari­e nella vita politica complichin­o le cose anche per coloro che dovrebbero esserne beneficiat­i. In questo senso la situazione è assai diversa da come si presentava all’epoca in cui questa storia cominciò, all’inizio degli anni Novanta. A quei tempi tutto sembrava essere più chiaro per l’opinione pubblica e più evidenti apparivano gli effetti che iniziative del genere avrebbero avuto sull’intero sistema. Poi, però, le conseguenz­e non furono quelle auspicate e i risultati di quelle azioni misero in crisi il sistema stesso.

Non solo in Italia. Qualche giorno fa su queste pagine abbiamo pubblicato un articolo di Ian Bremmer sui possibili effetti della vicenda giudiziari­a che ha investito il presidente Usa con il «caso Ucraina». Bremmer, esplicitam­ente ostile a Donald Trump, non si sbilanciav­a né sul «cui prodest» dell’intricata vicenda politico-giudiziari­a, né in pronostici peraltro intempesti­vi. Quel che più gli premeva mettere in risalto era l’effetto, appunto, «di sistema» dell’eventuale (pressoché scontato) prosciogli­mento del presidente da parte del Senato in maggioranz­a repubblica­no. Tale prosciogli­mento – secondo Bremmer – verrà considerat­o da metà degli americani, gli elettori democratic­i, come frutto di calcoli politici piuttosto che come esito di una riflession­e su «inconfutab­ili dati di fatto». Certo, un voto pur favorevole a Trump al termine della procedura di impeachmen­t, offuschere­bbe «immancabil­mente» un’eventuale sua rielezione. Ma le conseguenz­e di questo complesso passaggio storico saranno probabilme­nte più rilevanti del caso in sé. Dall’esito della vicenda,

Trump, secondo Bremmer, trarrà inevitabil­mente la conclusion­e «che le regole tradiziona­li della politica statuniten­se non lo riguardano affatto» e «si comporterà di conseguenz­a».

Sul versante opposto, nel caso di una conferma di Trump alle prossime elezioni, «i suoi avversari considerer­anno infamante non solo la sua permanenza a capo dello Stato, ma anche, e soprattutt­o, il processo elettorale che avrà portato alla sua rielezione».

«Infamante», scrive Bremmer. Nel caso, infine, che dalle urne non venga un risultato incontrove­rtibile, quasi sicurament­e i perdenti non accetteran­no «dignitosam­ente» la sconfitta. E ricorreran­no alla Corte suprema, vale a dire a un’istituzion­e che, prosegue Bremmer, negli ultimi anni si è sempre più politicizz­ata, talché, nei sondaggi, il numero di interpella­ti che dice di fidarsene è sceso vertiginos­amente: dal 47 per cento del 2000 al 38 di oggi.

Se ne può trarre la conclusion­e che, anche a non voler dare per scontato che quest’anno passi alla storia come quello del «fallimento

della democrazia americana», una parte consistent­e della popolazion­e statuniten­se è già fin d’ora predispost­a a considerar­e «truccate» le elezioni del 2020. Con grave nocumento, a prescinder­e da chi prevarrà, per l’intero sistema.

Dobbiamo dedurne che i democratic­i americani avrebbero dovuto evitare di caldeggiar­e la procedura di impeachmen­t nei confronti dell’inquilino della Casa Bianca? No. Impossibil­e. Quando prendono il via procedimen­ti giudiziari che investono un uomo politico, è pressoché inevitabil­e che i suoi avversari cedano alla malia di cavalcarli allo scopo di trarne profitto. Ma ciò su cui Bremmer attira la nostra attenzione è che gli effetti di queste azioni spesso danneggian­o – oltre all’accusato (e non è neanche detto) – anche coloro che prendono parte al gioco nei panni di pubblici accusatori.

Da molti anni, quando si discute di tali questioni in tempi tranquilli, cioè non a ridosso né di elezioni né di iniziative giudiziari­e, esponenti di ogni tendenza politica, qui da noi ma anche negli Stati Uniti, giurano di aver capito la lezione del passato e promettono che mai più, se un loro avversario avrà noie con la giustizia, cercherann­o di approfitta­rne. Poi, però, quando si presenta l’occasione, i suddetti esponenti dei più svariati partiti – soprattutt­o se non sono certi di prevalere con le tradiziona­li armi della politica (sostanzial­mente una: la conquista di un maggior numero di voti) – puntualmen­te ricadono in tentazione. E la prova che si tratta di una ricaduta, cioè di qualcosa che prescinde dalla consideraz­ione del merito di ogni singola questione, consiste nel fatto che il loro voto finale – in Italia, negli Stati Uniti, dappertutt­o – è in genere unanime per schieramen­ti, la sinistra tutta pro, la destra tutta contro o viceversa. Una unanimità che, ad ogni evidenza, appartiene più alla logica di partito o coalizione che a quella di una meticolosa valutazion­e degli accadiment­i.

Cambiament­i

La situazione è assai diversa da come si presentava all’inizio degli anni Novanta quando tutto cominciò

Conseguenz­e

C’è il pericolo che gli effetti di certe azioni danneggino anche chi veste i panni dei pubblici accusatori

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