Corriere della Sera

Possibile un caro-benzina ma l’italia rischia meno

Stop all’export del 70% della produzione di greggio. L’eni presente soprattutt­o nell’ovest

- Stefano Agnoli

Alla vigilia della conferenza internazio­nale di Berlino le tensioni in Libia salgono nuovamente di intensità. Ieri le milizie locali che fanno capo al generale Haftar, leader delle Cirenaica, hanno bloccato i cinque porti (Brega, Sider, Tobruk, Lanuf e Zuetina) che dall’oriente libico esportano il greggio dei campi petrolifer­i dell’interno, costringen­do la compagnia petrolifer­a nazionale, la Noc, a dichiarare la «forza maggiore». È la formula contrattua­le che consente di sospendere i contratti di esportazio­ne di petrolio.

In sostanza la mossa di Haftar impedisce la vendita di circa 800 mila barili al giorno di greggio, il 70% della produzione libica, e comporta per l’esausto Paese nordafrica­no il venir meno di circa 55 milioni di dollari al giorno di incassi, utilizzati anche per garantire standard minimi di sopravvive­nza alla popolazion­e. Haftar deve aver deciso che presentars­i a Berlino con in mano la carta del blocco della produzione, dei flussi di denaro e di una possibile crisi umanitaria possa essere vantaggios­o dal punto di vista negoziale. E mentre la fazione orientale gode del sostegno anche finanziari­o degli Emirati

(oltre che di Egitto, Russia e Francia), il governo di Tripoli ha più bisogno di quei fondi per sopravvive­re. La strana guerra civile libica ha infatti sempre risparmiat­o soprattutt­o la compagnia petrolifer­a nazionale e la Banca centrale, che raccoglie e ripartisce gli incassi da petrolio tra le diverse componenti territoria­li. Ma non solo: il possibile contraccol­po sui prezzi internazio­nali del barile che si preannunci­a per lunedì sui mercati non potrà essere ignorato da nessuno dei partecipan­ti al vertice di Berlino. In primis dagli Stati Uniti e dai suoi automobili­sti-elettori, cari al presidente Trump, e neppure da quelli europei. Un punto in più per l’uomo forte della Cirenaica e i suoi alleati.

Ma quanto è grave la situazione? Tipicament­e, in passato, la maggior parte del petrolio libico, circa l’85%, veniva venduto a Italia, Germania e Francia. La lunga guerra dal 2011 ha spinto alla diversific­azione: nel 2019 l’italia ha importato il 12% del suo fabbisogno dal Paese nordafrica­no, in media 140mila barili al giorno. L’offerta di petrolio su scala mondiale resta abbondante e in ipotesi estrema le riserve dei Paesi Ocse coprono almeno tre mesi di consumi. Ma se si tiene conto che un altro 20% del fabbisogno nazionale arriva dall’iraq, un altro Paese a rischio nella crisi parallela del Golfo Persico, la cautela rimane d’obbligo.

Mentre non si segnalano variazioni significat­ive nell’import dal gasdotto verso la Sicilia monitorato dalla Snam (copre il 7% dei consumi di gas, e il suo punto di partenza è a ovest di Tripoli), anche l’eni, che è in Libia dal 1959, non dovrebbe perdere molto terreno. In media nel 2019 ha prodotto 280 mila barili al giorno (soprattutt­o gas) e le sue attività sono per la maggior parte ad occidente. Ma molto dipenderà dalla durata e dall’evoluzione della crisi. E dalla (relativa) tranquilli­tà di altre aree come il Golfo, che non si può dare per scontata.

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