Possibile un caro-benzina ma l’italia rischia meno
Stop all’export del 70% della produzione di greggio. L’eni presente soprattutto nell’ovest
Alla vigilia della conferenza internazionale di Berlino le tensioni in Libia salgono nuovamente di intensità. Ieri le milizie locali che fanno capo al generale Haftar, leader delle Cirenaica, hanno bloccato i cinque porti (Brega, Sider, Tobruk, Lanuf e Zuetina) che dall’oriente libico esportano il greggio dei campi petroliferi dell’interno, costringendo la compagnia petrolifera nazionale, la Noc, a dichiarare la «forza maggiore». È la formula contrattuale che consente di sospendere i contratti di esportazione di petrolio.
In sostanza la mossa di Haftar impedisce la vendita di circa 800 mila barili al giorno di greggio, il 70% della produzione libica, e comporta per l’esausto Paese nordafricano il venir meno di circa 55 milioni di dollari al giorno di incassi, utilizzati anche per garantire standard minimi di sopravvivenza alla popolazione. Haftar deve aver deciso che presentarsi a Berlino con in mano la carta del blocco della produzione, dei flussi di denaro e di una possibile crisi umanitaria possa essere vantaggioso dal punto di vista negoziale. E mentre la fazione orientale gode del sostegno anche finanziario degli Emirati
(oltre che di Egitto, Russia e Francia), il governo di Tripoli ha più bisogno di quei fondi per sopravvivere. La strana guerra civile libica ha infatti sempre risparmiato soprattutto la compagnia petrolifera nazionale e la Banca centrale, che raccoglie e ripartisce gli incassi da petrolio tra le diverse componenti territoriali. Ma non solo: il possibile contraccolpo sui prezzi internazionali del barile che si preannuncia per lunedì sui mercati non potrà essere ignorato da nessuno dei partecipanti al vertice di Berlino. In primis dagli Stati Uniti e dai suoi automobilisti-elettori, cari al presidente Trump, e neppure da quelli europei. Un punto in più per l’uomo forte della Cirenaica e i suoi alleati.
Ma quanto è grave la situazione? Tipicamente, in passato, la maggior parte del petrolio libico, circa l’85%, veniva venduto a Italia, Germania e Francia. La lunga guerra dal 2011 ha spinto alla diversificazione: nel 2019 l’italia ha importato il 12% del suo fabbisogno dal Paese nordafricano, in media 140mila barili al giorno. L’offerta di petrolio su scala mondiale resta abbondante e in ipotesi estrema le riserve dei Paesi Ocse coprono almeno tre mesi di consumi. Ma se si tiene conto che un altro 20% del fabbisogno nazionale arriva dall’iraq, un altro Paese a rischio nella crisi parallela del Golfo Persico, la cautela rimane d’obbligo.
Mentre non si segnalano variazioni significative nell’import dal gasdotto verso la Sicilia monitorato dalla Snam (copre il 7% dei consumi di gas, e il suo punto di partenza è a ovest di Tripoli), anche l’eni, che è in Libia dal 1959, non dovrebbe perdere molto terreno. In media nel 2019 ha prodotto 280 mila barili al giorno (soprattutto gas) e le sue attività sono per la maggior parte ad occidente. Ma molto dipenderà dalla durata e dall’evoluzione della crisi. E dalla (relativa) tranquillità di altre aree come il Golfo, che non si può dare per scontata.