Una storia che ora è giusto rileggere (ma per intero)
Il 15 dicembre del 1992 grida di giubilo si levarono dalla sala stampa del palazzo di giustizia di Milano: Bettino Craxi aveva ricevuto il primo avviso di garanzia nell’inchiesta Mani Pulite.
Quella sala stampa, allora, non era soltanto la casa dei cronisti milanesi. Era il cuore informativo di una vicenda giudiziaria in cui gli italiani s’erano trasformati in tifosi. Gli avvocati (spesso ridotti a un triste ruolo di «accompagnatori») vi si soffermavano divulgando notizie sui loro stessi assistiti che evitavano la galera con una specie di corsa catartica alla confessione in cui molti diritti finivano nell’ombra.
Nessuna notizia tuttavia produsse mai gli effetti di quel giorno di dicembre, abiura sonora ad ogni garanzia di terzietà: perché tutta l’inchiesta, sino ad allora, era stata un inseguimento al vero bersaglio, Craxi; e perché cronisti e magistrati erano stati troppo vicini, in una prossimità anche emotiva che è perfettamente umana ma può finire col confondere pericolosamente gli spartiti.
Ora, dopo tanti anni di imbarazzati silenzi, è da accogliere con soddisfazione la fioritura pubblicistica e cinematografica sul personaggio e sul politico. Resta purtroppo, nelle parole e perfino nelle assenze, lo stigma di una divisione mai sanata. La tentazione di raccontare un Craxi binario, «capro espiatorio» o «criminale matricolato», è con piena evidenza figlia di un dibattito paradossalmente ancora immaturo a un ventennio dalla sua morte: e la causa sta nella profonda rimozione attorno all’uomo e a ciò che ha rappresentato nell’italia all’uscita dalla Guerra Fredda.
Tra la rivalutazione dell’eredità di Craxi e il fardello giudiziario di due condanne definitive che lo indussero a un’angosciosa
Ieri e oggi
Resta attuale la questione dei costi della politica così come quella dell’intreccio tra i palazzi del potere e la magistratura
latitanza, forse, non può esserci ancora conciliazione. Ma sul danno di una così lunga rimozione, sì, ci si può trovar d’accordo. Si pensi a quanto sia ancora attuale la questione dei costi della politica solo sfogliando le pagine di questi mesi sugli ormai famosi 49 milioni della Lega o sulla renziana fondazione Open. A quanto gli intrecci non sciolti tra politica e magistratura ci vengano riproposti da vicende come lo scandalo del Csm. A quanto spesso riemergano i vizi di un’imprenditoria disponibile a qualsiasi cartello.
Tutti questi nodi furono carne e sangue del caso Craxi. Rileggere infine quella storia, per intero, è una condizione essenziale di crescita per la nostra democrazia.