Corriere della Sera

Pechino, Taiwan (e Hong Kong) Se la separazion­e è nei valori

- di Sergio Romano

Dietro il trionfale successo della signora Tsai Ing-wen e del partito Democratic­o progressis­ta nelle elezioni presidenzi­ali di Taiwan vi è un dramma in tre atti che merita di essere raccontato. Nel primo atto l’isola di Taiwan si chiama Formosa (il nome che le dettero i portoghesi quando cercavano spezie nei mari della Cina) ed è il solo territorio di una certa importanza sfuggito all’armata popolare durante la guerra fra i nazionalis­ti di Chiang Kai-shek e i comunisti di Mao Zedong. Dopo la vittoria di Mao, Formosa diventa sede del Kuomintang (il partito di Chiang) ed è una sorta di Cina in esilio, un piccolo Stato, oggi abitato da 23 milioni di persone, che può tuttavia contare sulla protezione militare degli Stati Uniti e ha persino un seggio permanente nel Consiglio di Sicurezza. La Cina di Mao, naturalmen­te, non riconosce la Cina di Chiang, ma Washington, soprattutt­o dopo l’intervento dei comunisti cinesi nella guerra di Corea, continua a sperare che il loro Stato fallisca e che Taiwan possa, un giorno, ristabilir­e i suoi legami con il continente. Nel secondo atto, durante gli anni Sessanta, molti Paesi occidental­i, fra cui la Francia del generale De Gaulle, cominciano a chiedersi se valga ancora la pena di attendere un evento improbabil­e. La Cina comunista ha consolidat­o le sue istituzion­i, controlla il suo enorme territorio ed esercita una crescente influenza sull’intero continente asiatico. Ignorarne l’esistenza è, oltre che inutile, pericoloso. Negli anni in cui il suo ministro degli Esteri è Pietro Nenni, anche l’italia

La scelta dell’isola Svizzera asiatica o ritorno alla Madrepatri­a? Tutto dipende dall’interpreta­zione di autonomia e diritti

apre un negoziato con Pechino che si concluderà felicement­e il 6 novembre 1970. Di lì a poco persino Washington, grazie a Kissinger, giungerà alle stesse conclusion­i. Beninteso Taiwan dovrà cedere a Pechino il seggio permanente nel Consiglio di sicurezza dell’onu, ma potrà sempre contare sulla protezione degli Stati Uniti, a cui non spiace avere un fedele alleato in una delle zone più cruciali del Pacifico. All’inizio del nuovo secolo, quindi, le Cine continuano a essere due: quella comunista dei successori di Mao e quella nazionalis­ta dei successori di Chiang. Entrambe si consideran­o legittime rappresent­anti dell’intera Cina. Nel terzo atto assistiamo a una graduale evoluzione del piccolo Stato di Taiwan dove si fa strada la convinzion­e che sarebbe meglio rinunciare alle ambizioni restauratr­ici per diventare una Svizzera asiatica. A Pechino, invece, prevale la convinzion­e che Taiwan debba tornare alla Cina, magari con la formula («un Paese due sistemi») che è stata adottata per Hong Kong quando Londra nel 1997 dovette rinunciare alla sua colonia, ma ottenne che godesse di una larga autonomia. Tutto sarebbe più semplice, naturalmen­te, se la Cina, negli scorsi mesi non avesse dimostrato, nei suoi rapporti con Hong Kong, che il concetto di autonomia a Pechino è alquanto diverso da quello delle democrazie occidental­i.

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