Tra gli archeologi italiani in Iraq «La guerra mette a rischio la Storia»
A causa delle tensioni nel Paese, il team costretto a lasciare gli scavi: rientriamo in Italia
I muri non solo come esclusione e separazione, ma anche e soprattutto garanzia di difesa e crescita di una civiltà. Sono lo specchio anche delle antichissime contese tra Iraq arabo e Iran farsi. «Da decenni noi archeologi delle missioni italiane in Iraq tra i tanti siti stiamo studiando quello della città partica di Hatra. Un enorme insediamento urbano di 310 ettari. In realtà una città sacra bimillenaria difesa da una cinta di muraglioni in pietra lunghi oltre 6 chilometri che racchiudevano molti templi, tanti pozzi e garantirono per circa 600 anni a oltre 50 mila abitanti un’esistenza ricca e sicura», racconta la 78enne Roberta Venco, archeologa torinese in pensione e oggi alla guida del piccolo team legato al Camnes (Centro Internazionale di Firenze) impegnato a lavorare nel Museo di Bagdad.
L’abbiamo incontrata nei saloni dedicati all’impero partico, presso i padiglioni assiro-babilonesi, indaffarata a cercare di individuare i corpi per le 85 teste di pietra, per lo più raffiguranti sacerdoti vissuti nel primo e secondo secolo dopo Cristo, che giacciono nei caveau. «È un puzzle complicato. Quasi tutte le centinaia di statue di Hatra raccolte nel Museo a causa per lo più di eventi naturali sono acefale. In questo caso nulla a che vedere con le vendette iconoclaste o i vandalismi di Isis. Il nostro compito è cercare di ricomporre le statue nella loro bellezza originaria», spiega. Con lei due colleghi più giovani: la 28enne Ilaria Bucci e il 33enne Enrico Foietta. «Furono proprio le mura in pietra, rafforzate da torri armate di catapulte e fionde baliste, a favorire la continuità e la civiltà della città. Allora gran parte dei bastioni fortificati erano eretti con mattoni d’argilla, più facili da abbattere, che nel tempo si sono corrosi. Hatra fu invece capace di resistere a diversi assedi. Quelli romani furono particolarmente cruenti, due voluti dall’imperatore Settimio Severo e uno da Traiano. Alla fine ci riuscirono i sassanidi dopo un lungo assedio nel 241 dopo Cristo e da allora la città è praticamente sparita dal registro della storia. Gli iracheni in genere però tendono a sminuire la vittoria sassanide. Il motivo è ovvio: erano una dinastia persiana. Hatra era una città araba e con i persiani ebbe continue dispute. Abbiamo trovato i resti degli incendi alle porte meridionali», dice Foietta.
Mentre parliamo la tensione internazionale è alta. L’iraq è dominato dal timore di diventare campo di battaglia tra Washington e Teheran. La crisi seguita al blitz americano a Bagdad del 3 gennaio per eliminare il generale iraniano Soleimani con alcuni dei massimi leader delle brigate sciite irachene resta grave. Nei prossimi giorni è attesa la «grande marcia di un milione di persone» voluta dal sciita Moqtada al Sadr contro il permanere del contingente americano in Iraq.
E infatti i tre archeologi su pressione della Farnesina hanno appena accettato di tornare in Italia. Ma sino all’altro ieri avevano lavorato come se nulla fosse. «Qui la situazione è sempre stata tranquilla. Ogni mattina sino alle due del pomeriggio abbiamo normalmente svolto le nostre attività. Gli iracheni insistevano per chiederci di restare», rassicurano. La professoressa Venco è una veterana del Paese. «Ci venni per la prima volta nel 1965. Poi continuai ai tempi di Saddam, del conflitto Iran-iraq e della guerra del 1990-91 e dall’attacco americano del 2003. La situazione per noi è sempre rimasta invariata. Le missioni archeologiche non hanno mai smesso di operare», ricorda.
Nei saloni del museo i segni del lavoro italiano sono onnipresenti. Gli addetti dell’archivio fanno tesoro del lavoro dei Carabinieri, che subito dopo il grande saccheggio seguito all’invasione americana contribuirono al catalogo e al recupero dei manufatti rubati. Negli ultimi anni la Cooperazione Italiana ha speso quasi quattro milioni di euro, serviti tra l’altro alla riqualificazione della galleria assira, che sarà seguita da quella sumerica.
Le manifestazioni
Nei prossimi giorni è attesa la «grande marcia» contro i militari statunitensi