Corriere della Sera

ITALIANI

IVA ZANICCHI

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la mangiatoia». Il suo primo ricordo?

«Pippo. L’aereo che andava a bombardare la centrale elettrica. Scappai di casa per vederlo. L’aviatore mi fece un cenno di saluto, che ricambiai. Poi lo raccontai a mamma. Che mi riempì di botte». E suo padre?

«Era prigionier­o dei tedeschi, in un campo vicino a Dresda. Tornò che pesava 40 chili. Io mi ero immaginata un eroe: vidi uno scheletro che aveva un piede in una scarpa rotta e l’altro in uno zoccolo. Rimasi delusissim­a. Piansi per due notti: anche perché prima nel lettone con la mamma dormivo io, e adesso dormiva lui. La terza notte arrivò da me con una carta da zucchero, piena giustappun­to di zucchero: “Questo è per te, non dirlo alle tue sorelle” mi sussurrò. Da quella notte fu il mio babbo».

A lungo gli Imi, gli internati militari in Germania, non trovarono il coraggio di raccontare quel che avevano subito.

«Anche mio padre all’inizio non ne parlava mai. Poi ci disse che stava morendo di fame, ed era uscito per scavare qualche patata. Fu bastonato a sangue e condannato a essere fucilato il mattino dopo. La notte un vecchio riservista lo nascose e gli salvò la vita. Capii che mio padre era davvero un eroe. Lo scrissi in un tema. Il maestro mi rimproverò: per lui esistevano solo i partigiani. Ma anche quella di mio padre e degli altri prigionier­i fu Resistenza». E i nonni?

«Il nonno paterno, Antonio, era andato in America a cercare fortuna. Tornò più povero di prima. Faceva il boscaiolo nel Montana; arrivò la grande crisi del legname. L’altro nonno, Adamo, aveva fatto la Grande Guerra. Sua madre, Desolina, aveva un’osteria e una voce potentissi­ma, da soprano drammatico: venivano dai paesi attorno per ascoltarla. Una domenica arrivò uno da Parma che voleva portarla in città a studiare canto e a conoscere Verdi, che era ancora vivo. Il suo fidanzato, mio bisnonno Lorenzo, per gelosia si oppose. In cambio lei si fece sposare. Morì cantando come un usignolo». Che nome è Desolina?

«In paese non c’era un nome da cristiano. Una ragazza si chiamava Brandina. Un’altra Nicola: quando obiettaron­o al padre che era un nome da maschio, rispose che finendo per “a” doveva essere per forza un nome da femmina. Mio zio si chia

Pronto, anche se tutti lo chiamavano Veraldo: che non era granché, ma era pur sempre meglio di Pronto. Mia zia Argentina chiamò le figlie Italia e Emilia. In compenso tutte le donne del paese avevano voci bellissime. In chiesa era commovente sentirle cantare, senza musica, in modo celestiale». E lei?

«Io avevo una voce un po’ mostruosa, da contralto. Il prete mi sgridava: Iva canta piano, che copri gli altri bambini». È vero che da piccola rischiò di morire?

«Avevo la febbre a 42 per un ascesso. Le zie tentavano di consolare mia madre: “Iva non ce la farà, ma avremo un angelo che pregherà per noi in paradiso…”. Sentii e feci il gesto dell’ombrello. Altro che angelo…». La sua carriera comincia con il Disco d’oro di Reggio Emilia.

«Lì conobbi Gianni Morandi, che era fuori concorso perché troppo giovane, e una ragazza che portava un cappellino con veletta: Orietta Galimberti». Orietta Berti?

«Lei. Insieme cantammo a Sala Baganza, Parma. L’impresario ci fece uno scherzo feroce: disse ai musicisti che in camerino c’erano due entraineus­e a disposizio­ne, Orietta e Iva. Entra il pianista, mi chiede “tu sei Orietta o Iva?”, e mi scaraventa sul letto. Scoppiai a piangere: “Allora aveva ragione mamma, a dire che le cantanti sono tutte puttane!”. Lui ci rimase malissimo. Si chiamava Angelo. Diventò il mio primo fidanzato». Fu la sua prima volta?

«Niente sesso. Mamma non voleva. Persi la verginità a 27 anni, con l’uomo che ho poi sposato: il figlio del proprietar­io della casa discografi­ca Ri-fi». Fu alla Ri-fi che incontrò Mina?

«Più che Mina, incontrai la sua scia. Una volta le vedevo le gambe, l’altra volta la nuca. Era già una star; eppure non mi ha mai potuto soffrire. Un anno Mina era in Messico, e Antonello Falqui mi propose di aprire Studio Uno con una canzone, subito dopo Carosello: una roba da 25 milioni di spettatori. Mina interruppe la tournée e si precipitò in Italia: “Se prendete quella ragazzotta, perdete me”. Mi cacciarono». Ma lei cosa pensa di Mina?

«Tecnicamen­te è stata la più grande. L’ho sempre ammirata ma non l’ho mai temuta: quando dovevo aprire l’ugola dal vivo, non ce n’era per nessuno. Così, quando

mi Venezia, proposero accettai un subito. duetto con Mina lei rifiutò. al Lido Fui di sostituita da Claudio Villa». Con Claudio Villa lei vinse il suo primo Sanremo, nel 1967.

«Ricordo ancora le urla: “Si è ammazzato Tenco!”. Preparai la valigia: ero convinta che avrebbero sospeso il festival. E avrebbero dovuto farlo. Una rivista mi propose la copertina, se fossi andata a deporre rose rosse sulla sua tomba. Li mandai a quel paese». E Ornella Vanoni?

«Ogni volta a Sanremo trovava il modo di gettarmi nel panico. Stavo per salire in scena e mi faceva: ma come ti hanno truccata, ma quanto ti sta male quel vestito… A me però è sempre stata simpatica». Nel 1969 lei rivinse con Zingara.

«Oggi mi farebbero cantare: “Prendi questa mano, rom…”». Perché ha fatto politica?

«Per vendicare mio padre. Si candidò per il Psdi: prese un solo voto, il suo. Neanche quello della moglie. Lui la afferrò per il collo, furibondo. Lei rispose: “Non posso andare all’inferno per colpa tua!”. Il parroco le aveva prospettat­o le fiamme eterne se avesse votato, non dico comunista, ma socialdemo­cratico». Come ricorda il primo incontro con Berlusconi?

«Mi avevano offerto un sacco di soldi per condurre una trasmissio­ne. Rifiutai. Mi invitò a casa sua. Andai in bicicletta — abitavo già qui a Lesmo, vicino ad Arcore —, decisa a chiedere il triplo. Mi portò in un teatrino con il pianoforte. Pensai: ora mi tocca cantare. Cantò lui, per un’ora. Mi affascinò. Parevo Fracchia. Firmai alla cifra che mi avevano proposto». È rimasta celebre una telefonata di Berlusconi mentre lei era in tv da Gad Lerner:

L’intervento e gli scatti Essermi rifatta il naso è una delle due cose di cui mi pento nella vita L’altra è stata posare nuda su Playboy: vidi la copertina e fui presa dal panico

nato bene. Perché non riconferma­rlo?». Di Salvini cosa pensa?

«Tutti lo accusano di essere un fannullone. Ma io me lo ricordo a Strasburgo: votava al mattino, andava a fare un comizio in Lombardia, e il mattino dopo era di nuovo lì». A dire il vero era un noto assenteist­a.

«È una persona di cuore. Molto affettuoso con i figli: li portava pure al Parlamento europeo, ce li mostrava orgoglioso. Certo, a volte è un po’ eccessivo. Ma l’immigrazio­ne va regolata». È vero che lei è stata in tournée in Iran con Lando Buzzanca?

«Lui era un divo. Ma la vera star era Moira Orfei, amatissima dagli iraniani, che adorano il circo. Erano gli ultimi giorni del regime, l’impresario sputava sul ritratto dello Scià. Me ne andai in tempo. Moira Orfei rimase. Scoppiò la rivoluzion­e e perse il circo». E Walter Chiari?

«Partiamo in tournée nel 1974 e lui mi fa, con il tono con cui si chiede un drink: “Stasera noi due facciamo l’amore”. E perché? “Lo faccio con tutte le attrici. Così si crea una sintonia e lavoriamo meglio”. Dissi di no. Lui si stupì molto: “Sia chiaro però che te l’ho chiesto!”. Pensava mi offendessi. Quella sera ci raggiunse sua madre, una vecchietti­na molto simpatica: “Gli hai detto di no al mio Walter? Brava! Finalmente una brava ragazza!”. “Avrà mica parlato con mia mamma?”. “Certo che ho parlato con tua mamma!”». Si racconta di un suo flirt con Alberto Sordi.

«Mi telefonava a ogni compleanno per farmi gli auguri. Quando facevo Canzonissi­ma, ogni sabato sera mi mandava i fiori con un biglietto carino. Poi mi invitò a Bologna per fare da madrina alla prima del Presidente del Borgorosso football club; il padrino era Beppe Savoldi, il centravant­i. Morivo di vergogna: tutti pensavano che fossi l’amante di Sordi. All’epoca ero astemia; quella sera comincio a bere. Mi ritiro in camera, sento bussare: è Alberto, che mi invita nella sua suite. Ci vado. Inevitabil­mente lui mi sbatte sul letto; ma non riesce a slacciarmi il vestito, attillatis­simo. “Vado di là a spogliarmi” gli sussurro; e fuggo».

Sordi come la prese?

«Mi telefonò per il compleanno: “A Zani’, che te sei persa!”».

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