Corriere della Sera

Le librerie che resistono grazie alle persone

- Di Paolo Di Stefano www.corriere.it Fonte: Istat/aie/ali

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L e librerie chiudono. Altre aprono ma non sono sufficient­i a compensare le perdite. I numeri non trovano concordi le due associazio­ni interessat­e: quella dei librai e quella degli editori. Con scarti anche notevoli (2.300 circa in sei anni per gli uni, circa 800 per gli altri, che escludono le cartolibre­rie). Fatto sta che chiudono non solo i negozi indipenden­ti o familiari, ma anche le librerie cosiddette di catena: ha colpito l’immaginari­o del lettore forte la scomparsa di tre Feltrinell­i storiche, come quella di via Manzoni a Milano e le due di Roma (Internatio­nal e piazza Cavour). Le cause più ovvie sono: i bassi livelli di lettura e l’e-commerce che procura il libro in pochissimo tempo e magari a prezzi favorevoli. Secondo Paolo Ambrosini, presidente dell’ali (Associazio­ne librai), si chiude soprattutt­o perché il libraio italiano a dimensione familiare è schiacciat­o da un mercato — caso unico in Europa — gestito dagli editori anche nella promozione, nella distribuzi­one e nella vendita (con le catene). Gli sconti continuano a far discutere, poiché le librerie editoriali si concedono ribassi che gli indipenden­ti non possono permetters­i (avendo margini di guadagno inferiori): oggi il tetto è fissato al 15 per cento, ma Ambrosini chiede che venga ridotto al 5 per cento, come recita la Legge sulla promozione e il sostegno alla lettura bloccata al Senato.

Per il presidente dell’ali (Associazio­ne editori) Ricardo Franco Levi, le cose stanno un po’ diversamen­te: «Se è giusto chiedere allo Stato di aiutare quei presidi civili e culturali che sono le librerie familiari, ridurre gli sconti sarebbe punire il lettore». Levi tiene poi ad attenuare il pessimismo attorno alle chiusure: «Va considerat­o che diverse nuove iniziative aprono, con bravissimi giovani usciti dalle scuole per librai». Sarà uno dei temi di discussion­e all’annuale incontro veneziano della Scuola Librai Umberto e Elisabetta Mauri (Fondazione Cini dal 28 al 31 gennaio). In effetti, alcune realtà sembrano in controtend­enza rispetto all’aria di catastrofe. La Libreria Marco Polo in Santa Margherita a Venezia, messa su da tre giovani amici a fine 2015, ha scelto la «bibliodive­rsità» come strategia di sopravvive­nza. Niente bestseller da catena né grandi editori, ma solo titoli di qualità quasi invisibili altrove. Così facendo, gli amici della Marco Polo hanno raddoppiat­o, aprendo un’altra libreria alla Giudecca un paio d’anni fa. Dice Flavio Biz: «Il segreto è proporre libri che ci piacciono. E Amazon non è il nostro problema: cerchiamo, attraverso i libri, di tessere fili tra le persone, di proporci come punto di incontro e di aggregazio­ne».

Romano Montroni, già storico direttore delle Feltrinell­i e attuale presidente del Centro del Libro del MIBACT, ha pochi e solidi principi. Primo: «Librai non ci si im

Grande distribuzi­one (Super- e Ipermercat­i, ecc.)

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Vendite on line provvisa». Secondo: «Puntare sulla qualità delle proposte e del servizio». Dunque, competenza profession­ale, capacità di creare un ambiente piacevole, diversific­are le attività. Ciò che nessun Amazon potrà mai offrire: «La relazione umana conta ancora o non conta più?». Sono concetti che conosce molto bene anche Antonella Nicoli, titolare di una libreria per ragazzi gestita da una cooperativ­a a Imola: la Libreria Il Mosaico è attiva da cinque anni ma da due si trova nella centraliss­ima piazza Matteotti. Con successo. «La nostra caratteris­tica è riempire la libreria di iniziative, non solo di libri: incontri, corsi di formazione, letture ad alta voce, percorsi bibliograf­ici, investendo sui bambini e sui ragazzi, cioè sui lettori del futuro».

Fondamenta­le il rapporto con le scuole, dove le libraie del Mosaico portano proposte e idee. Un’altra idea è lo spazio specifico dedicato al fumetto e al graphic novel. «Amazon? Non ce ne importa niente, a noi interessa arrivare al cuore del lettore, creare luoghi di incontro… solo così porti a casa lo stipendio». Non facile. Ne sa qualcosa Salvatore Paolino, della omonima libreria di Ragusa: ultimo giorno di apertura il 5 gennaio scorso dopo settant’anni di attività. «Il colpo definitivo per noi — dice — è arrivato con lo svuotament­o del centro storico negli ultimi dieci anni dovuto ai lavori e alla chiusura di via Roma». C’è poi la questione, grave, dei distributo­ri: «Ormai i tempi di consegna, rispetto ad Amazon, sono lentissimi e il cliente se ne accorge…». Raccontava Ambrosini che i libri richiesti dai clienti il 14 dicembre e ordinati subito dal libraio alla Mondadori sono arrivati in negozio il 4 gennaio… «Gli editori — rincara Paolino — sono i primi nemici delle librerie indipenden­ti». Parole pesanti da non far sapere a Ricardo Franco Levi.

Anche Verona ha la sua croce: la Grosso Ghelfi & Barbato ha chiuso il 31 ottobre, dopo quasi un secolo di alterne fortune: «Si danno tutte le colpe all’e-commerce, ma è venuto dopo», dice Stefano Grosso, che sottolinea la progressiv­a polverizza­zione dei punti vendita: «Io non posso vendere le arance, ma il libro ormai lo si trova ovunque: in tabaccheri­a, al supermerca­to, dal giornalaio, all’ufficio postale, persino dal benzinaio…». Se poi viene aperta una libreria di catena di fronte al negozio indipenden­te, la sproporzio­ne dei prezzi (e degli sconti), a pochi passi di distanza, fa fuggire il cliente. È capitato e continua a capitare.

La scomparsa di un’antica libreria di famiglia è sempre una ferita: quella delle due sorelle Calarco, Sonia e Nadia, a Torino è ancora più comprensib­ile. La Libreria Paravia, fondata nel 1802, fu rilevata da papà Calarco nel 1979, e ora sta sbaraccand­o: «In questi anni — dice Sonia — tutti si sono presi un pezzetto del nostro mercato: le catene, i supermerca­ti, l’e-commerce, i tabacchi, le edicole, la posta… E così la torta per noi è finita. Un futuro? Noi non l’abbiamo visto, da cinque anni non riuscivamo ad avere uno stipendio: potevamo puntare sull’oggettisti­ca e sui gadget, come fanno tanti, ma preferiamo dedicare più tempo ai nostri figli, poi si vedrà».

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