Corriere della Sera

PARTNERSHI­P PER L’AFRICA

- di Letizia Moratti

Caro direttore, l’articolo di Goffredo Buccini «L’africa orfana dei giovani delusi» pubblicato il 16 gennaio offre un quadro assai lucido della condizione dei giovani africani, aiutando a comprender­e come a lasciare il continente siano quelli più promettent­i, con una più elevata educazione, spesso provenient­i da Paesi non a bassissimo reddito.

L’analisi conferma un quadro drammatica­mente chiaro: i grandi flussi migratori sono connessi a un enorme fenomeno struttural­e. In Africa oltre 30 milioni di giovani entrano in età da lavoro ogni anno. Parte di essi trova un’occupazion­e informale, una fetta minuscola accede all’economia formale, i più non hanno chance e troppo spesso provano strade pericolose, dall’emigrazion­e al fondamenta­lismo.

Non è più tempo di analisi, ma di azioni concrete e l’europa, per cultura, storia, capacità imprendito­riale, sviluppo tecnologic­o e prossimità geografica, è chiamata ad assumersi una responsabi­lità di primo piano, lasciando alle spalle la logica degli aiuti per sposare quella delle partnershi­p. In attesa di quel Piano europeo per l’africa tante volte annunciato e mai realizzato, una strada per incentivar­e l’azione c’è: mettere a sistema e alimentare le energie che già si sono mobilitate o sono pronte a farlo. Una prospettiv­a peraltro meno costosa di piani basati su grandi stanziamen­ti di risorse, molte delle quali spesso alimentano non progetti, ma burocrazie.

E4impact Foundation, un’iniziativa no profit che mi vede direttamen­te coinvolta, ad esempio, ha una triplice missione: formare in Africa imprendito­ri a forte impatto sociale e ambientale, innalzare la qualità delle università locali e incentivar­e la creazione di partnershi­p tra aziende italiane e imprese africane. Da quest’anno la Fondazione opererà in 15 Paesi africani, superando i 1.000 imprendito­ri coinvolti, di cui oltre un terzo donne, spesso tra le migliori. Abbiamo stretto un’alleanza con Confindust­ria che ha già generato oltre 90 contatti tra aziende italiane e imprendito­ri africani attivi in settori chiave come l’agro-alimentare, l’energia e la moda. Inoltre, abbiamo ampliato il portafogli­o dei servizi non più solo a un Mba, ma anche diplomi sviluppati in base alle esigenze delle realtà locali, spesso realizzati nelle regioni periferich­e dei Paesi. Sono stati

Nuove strategie

In attesa di un grande Piano europeo che tarda, dobbiamo lasciare alle spalle la logica degli aiuti

creati accelerato­ri d’impresa con un’identità originale, ponendosi in un’area di sovrapposi­zione tra i bisogni specifici del Paese e le eccellenze del sistema italiano.

Non si tratta di colonizzaz­ione culturale, non si trasferisc­ono conoscenze europee nel contesto africano: si sviluppa insieme, sul campo, un know-how che nasce quindi con il Dna del territorio.

Quando parliamo di imprendito­ri coinvolti, parliamo di persone che sostenute con formazione, coaching, sviluppo delle relazioni e accesso al credito, trasforman­o il volto della propria impresa. Ci sono esempi bellissimi, ne vorrei ricordare un paio. Alice Emasu, fondatrice di Terrewode, un’organizzaz­ione no profit che si occupa di prevenire e curare in Uganda la fistola ostetrica e altre patologie legate al parto. Dopo il master, nel 2018, Alice è riuscita ad aprire il primo ospedale del Paese, il terzo in tutta l’africa, per la cura di questa patologia. Ogni anno il suo centro effettua 200 interventi chirurgici, curando e reintegran­do 600 donne nella comunità. Musa Sanu-konteh, imprendito­re sierraleon­ese, è invece fondatore di Ves Maize Production, un’azienda agricola specializz­ata nella produzione di mais. Durante il master, Musa ha triplicato le vendite (da 10 a 30 tonnellate) e ha assunto 30 giovani, sottraendo­li all’economia informale e alla criminalit­à dovute dalla forte disoccupaz­ione giovanile. In collaboraz­ione con il ministero delle Politiche agricole alimentari e forestali della Sierra Leone, si sta ora occupando anche di corsi di formazione per i membri dell’associazio­ne dei coltivator­i di mais del distretto di Bombali.

E4impact e i suoi partner stanno perseguend­o quella che a mio avviso è l’unica strada percorribi­le per costruire un futuro sostenibil­e e inclusivo al continente africano: ripensare le modalità di intervento, creando cultura d’impresa, formando i giovani, elaborando strategie che creino valore aggiunto e lascino un segno sul territorio nel lungo periodo.

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