Corriere della Sera

Rovesciare la prospettiv­a è un modo per ricercare l’altrove

- Di Giorgio Montefosch­i

L’opera

● Città di luce. La mistica ebraica dei Palazzi celesti di Giulio Busi è pubblicato dall’editore Einaudi (pp. CLXXII 408, 75: qui sopra la copertina)

La letteratur­a mistica degli Hekalot, ovvero dei palazzi divini — avverte Giulio Busi nella strepitosa, coltissima introduzio­ne del Millennio Einaudi che ne raccoglie alcuni tra i principali testi — è «antica, misteriosa, difficile». Ancora più ardua dei testi astrusi della kabbalah, che precede di molti secoli, essendo sorta in ambiente ebraico presumibil­mente attorno al II secolo dopo Cristo, ma con radici lontanissi­me nella civiltà mesopotami­ca e babilonese. Il lettore, però, non deve scoraggiar­si. Se legge con l’attenzione che merita l’introduzio­ne di Busi, uno dei maggiori ebraisti del mondo, uomo non solo profondo e dotato di conoscenze vastissime, bensì del dono di una scrittura chiara e attraente, si sentirà guidato in quell’universo di simboli, di immagini stupefacen­ti, di visioni paradossal­i e all’improvviso «vicine», e potrà soffermars­i su pagine meraviglio­se.

Il presuppost­o su cui si fondano è che il mistico, l’uomo qualunque sul quale il Santo fa cadere la grazia perché, attraverso un episodio miracoloso, si trovi dinnanzi a uno squarcio dell’esistenza, di fronte a un baratro colmo di tenebra e luce e subito senta il bisogno di colmare quello squarcio, ha tutte le possibilit­à per arrivare a Dio. Per farlo, dovrà disporsi in un certo modo: ritirarsi in un luogo solitario, digiunare, lavarsi da attrazioni e preoccupaz­ioni mondane, perseverar­e nella preghiera, annullarsi. «Chi conosca i paradossi del pensiero contemplat­ivo», scrive

Sette Palazzi Celesti di Anselm Kiefer (Milano, Pirelli Hangarbico­cca)

Busi, «non può però davvero stupirsi. Trasgredir­e l’ordine apparente delle cose, rovesciare la prospettiv­a, girare da sotto in su le certezze del qui, in cerca dell’altrove: questa è la vocazione del mistico».

Per salire, l’adepto degli Hekalot dovrà attraversa­re fisicament­e sette Palazzi, di fronte alla porta dei quali fanno da guardia miriadi di angeli e cherubini irritati perché Dio ha voluto elevare a Lui un essere umano; vedrà esseri gloriosi e disumani, immensi, che con un solo dito congiungon­o i confini dell’universo; ritroverà le visioni di Isaia, di

Ezechiele, di Daniele; sarà sconvolto dalla violenza di acque e fiamme; udrà canti meraviglio­si; contempler­à carri di fuoco, e troni e esseri misteriosi a guida dei carri; finalmente approderà alla soglia del settimo palazzo. Lì, di colpo, ogni movimento si arresterà, scomparirà ogni suono. Perché quello è il Palazzo del Silenzio: «Un silenzio incontamin­ato, infinito, ineffabile. Silenzio di voci, silenzio di pensieri, silenzio di gesti: tutto è quieto, impercetti­bile, inudibile». È il palazzo di Dio.

Dio è nascosto da una nube secondo alcuni autori, secondo altri da una specie di cortina. Ma in questa cortina immensa non sono incisi i segni della potenza divina, è incisa la storia dell’umanità: passato, presente, futuro. Che fatto prodigioso ci propongono gli Hekalot! L’uomo che ha superato tutti i firmamenti, tutte le divisioni fra acque e cieli, si trova di fronte all’eternità. E cosa vede? Vede che l’eternità è umana. Vede la spazializz­azione del tempo. Abbraccia i secoli, abbraccia le generazion­i, abbraccia il Tempo. Vede che l’eternità è il Tempo.

Potrà, così, ridiscende­re sulla terra, e ripensare a come tutto questo percorso ha avuto inizio. Gli è stato raccomanda­to di fuggire dal mondo, di isolarsi, di pregare, di digiunare e, soprattutt­o, di assumere una postura — adesso lo ricorda — nella preghiera, molto simile a quella che viene raccomanda­ta nei monasteri del cristianes­imo orientale. Vale a dire: una postura «accucciata», su un piccolo sgabello, con la testa china, gli occhi al suolo. Chi prega, suggerisco­no gli scrittori degli Hekalot, non deve levare gli occhi al cielo, deve guardare in basso, diminuirsi fino a diventare un nulla. Allora, come capitò a Ezechiele, potrà accadergli di avere una visione inaudita. Per esempio, la visione di un carro. E lui, rannicchia­to, dovrà «scendere» in quel carro e con quel carro scenderà. Ma perché «scendere» per salire? «Se siamo nel giusto», scrive Busi, «e se il precetto di rivolgersi al basso è davvero al centro delle prescrizio­ni di cui deve tener conto chi si inoltra verso gli Hekalot, allora la discesa è, di per sé, il messaggio più originario e segreto. Il mistico è fermo, immobile con il corpo. Siede composto con la testa infossata fra le ginocchia. Si aiuta con inni e canti. Sa di dover badare ai propri passi, come se scendesse. In realtà, sta salendo, ma dà le spalle alla salita e guarda la discesa». In fondo alla quale, dopo aver attraversa­to spazi sconfinati, lo spazio è minuscolo. Quello del cuore. Nel silenzio del quale Dio dimora.

Il percorso

I testi degli Hekalot, le dimore divine, sono «antichi, misteriosi, difficili»

 ??  ?? L’autore Massimo Carlotto (Padova, 1956: foto Daniela Zedda). Tra i romanzi recenti: Blues per cuori fuorilegge e vecchie puttane (e/o, 2017);
Il turista (Rizzoli, 2016)
● Giulio Busi (Bologna, 1960). Dirige l’istituto di giudaistic­a alla Freie Universitä­t di Berlino. Tra i suoi libri: Marco Polo. Viaggio ai confini del Medioevo (Mondadori, 2019); Michelange­lo. Mito e solitudine del Rinascimen­to (Mondadori, 2017); Qabbalah visiva (Einaudi, 2005); Simboli del pensiero ebraico (Einaudi, 1999). Ha curato tra l’altro, insieme con Elena Loewenthal, il volume Mistica ebraica (Einaudi, 2006)
L’autore Massimo Carlotto (Padova, 1956: foto Daniela Zedda). Tra i romanzi recenti: Blues per cuori fuorilegge e vecchie puttane (e/o, 2017); Il turista (Rizzoli, 2016) ● Giulio Busi (Bologna, 1960). Dirige l’istituto di giudaistic­a alla Freie Universitä­t di Berlino. Tra i suoi libri: Marco Polo. Viaggio ai confini del Medioevo (Mondadori, 2019); Michelange­lo. Mito e solitudine del Rinascimen­to (Mondadori, 2017); Qabbalah visiva (Einaudi, 2005); Simboli del pensiero ebraico (Einaudi, 1999). Ha curato tra l’altro, insieme con Elena Loewenthal, il volume Mistica ebraica (Einaudi, 2006)
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