Mutande pulite
Ricorderete il vigile di Sanremo ripreso mentre timbrava il cartellino in mutande. Un’immagine tanto dirompente da diventare simbolica: come la gonna di Marilyn Monroe alle prese con il condotto di aerazione. Ebbene, il giudice di primo grado ha assolto l’uomo in mutande con formula piena: «il fatto non sussiste». Intendiamoci. La mutanda sussiste eccome, mica si tratta di un fotomontaggio. Ma era una mutanda, per così dire, legittima. Il suo proprietario strisciava il badge nella macchinetta apposita, situata a pochi passi da casa, e poiché l’atto di vestire la divisa è considerato orario di lavoro, talvolta vi mandava la figlia oppure ci si recava personalmente in déshabillé. Forse avrebbe potuto infilarsi una vestaglia, ma sono quisquilie rispetto alla sostanza: l’emblema dei furbetti del cartellino sarebbe in realtà la vittima di un equivoco colossale.
Una sentenza di portata storica, che d’ora in avanti costringerà noi malelingue a sospendere il giudizio persino davanti all’evidenza. Non c’entra nulla con il vigile di Sanremo, ci mancherebbe, ma torna alla mente la storia di quel benefattore sorpreso dalle forze dell’ordine mentre usciva dalla finestra di una villa con un sacco di refurtiva. «Ho sentito dei rumori sospetti e mi sono infilato dalla finestra aperta», spiegò ai carabinieri. «Appena mi hanno visto, i ladri sono scappati e io ho raccolto il sacco per portarlo in caserma da voi, ma per fortuna siete già qui!».