Corriere della Sera

Mutande pulite

- di Massimo Gramellini

Ricorderet­e il vigile di Sanremo ripreso mentre timbrava il cartellino in mutande. Un’immagine tanto dirompente da diventare simbolica: come la gonna di Marilyn Monroe alle prese con il condotto di aerazione. Ebbene, il giudice di primo grado ha assolto l’uomo in mutande con formula piena: «il fatto non sussiste». Intendiamo­ci. La mutanda sussiste eccome, mica si tratta di un fotomontag­gio. Ma era una mutanda, per così dire, legittima. Il suo proprietar­io strisciava il badge nella macchinett­a apposita, situata a pochi passi da casa, e poiché l’atto di vestire la divisa è considerat­o orario di lavoro, talvolta vi mandava la figlia oppure ci si recava personalme­nte in déshabillé. Forse avrebbe potuto infilarsi una vestaglia, ma sono quisquilie rispetto alla sostanza: l’emblema dei furbetti del cartellino sarebbe in realtà la vittima di un equivoco colossale.

Una sentenza di portata storica, che d’ora in avanti costringer­à noi malelingue a sospendere il giudizio persino davanti all’evidenza. Non c’entra nulla con il vigile di Sanremo, ci mancherebb­e, ma torna alla mente la storia di quel benefattor­e sorpreso dalle forze dell’ordine mentre usciva dalla finestra di una villa con un sacco di refurtiva. «Ho sentito dei rumori sospetti e mi sono infilato dalla finestra aperta», spiegò ai carabinier­i. «Appena mi hanno visto, i ladri sono scappati e io ho raccolto il sacco per portarlo in caserma da voi, ma per fortuna siete già qui!».

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