«Energia, il mercato è in grado di tener testa alle tensioni»
Il Pulitzer Yergin: le infrastrutture del Golfo Persico hanno superato gli attentati
DAVOS «Quanto piccolo sia stato l’impatto sui prezzi del petrolio, dopo la crisi iraniana, riflette l’effetto della rivoluzione dello shale oil sul mercato dell’energia e sulla psicologia degli investitori», afferma Daniel Yergin, 72 anni, americano, studioso dei mercati energetici e massimo storico mondiale del petrolio, premio Pulitzer con il suo libro «The Prize: the Epic Quest for Oil, Money, and Power», pubblicato nel 1991, con oltre 1,3 milioni di copie vendute in tutto il mondo, del quale a settembre pubblicherà il «sequel». Perché nonostante il World Economic Forum di Davos quest’anno abbia messo al centro del dibattito la ricerca di una nuova alleanza tra business e politica per creare un’economia più sostenibile e rispettosa dell’ambiente, i combustibili fossili ancora oggi rappresentano oltre l’80% delle fonti energetiche. E il petrolio resta l’oro nero.
Professor Yergin, perché parla di rivoluzione sul mercato dell’energia?
«Gli Stati Uniti adesso producono il 40% di petrolio in più dell’arabia Saudita. Ci troviamo davanti a un altro mondo, rispetto al passato. Senza l’escalation dei prezzi vista in altri tempi».
Significa che in futuro la volatilità sul mercato dell’energia diminuirà o, quantomeno, che osserveremo
I nuovi rischi Il futuro? Per natura sono ottimista ma ora meno tranquillo. Il mondo è pieno di nuovi rischi all’orizzonte, incluso il «break-up» della globalizzazione
oscillazioni meno drammatiche?
«Non è detto. Un grande attacco terroristico o un evento maggiore potrebbero cambiare la situazione. Il futuro non si può mai dare per scontato. Ma la buona notizia è che gli attentati dello scorso settembre in Arabia Saudita hanno mostrato che esiste una grande quantità di infrastrutture nel Golfo in grado di ridurre le tensioni: l’attacco con i droni dello scorso settembre alle raffinerie saudite di Abqaiq e Khurais ha tolto dal mercato circa la metà dell’output saudita per più di un mese, ma senza effetti catastrofici. Nel mio nuovo libro, intitolato The map, che uscirà a settembre negli Stati Uniti, parlo della nuova geopolitica, conseguenza dei cambiamenti avvenuti nell’equilibrio geopolitico globale. Diciamo che sarà il successore di The Quest. La seconda puntata, dopo la prima edizione del ‘91 e una seconda edizione del 2008 rivista e aggiornata».
Come vede la situazione in Libia?
«Non sono un esperto. So che per l’italia è un Paese importante. La situazione che si è creata in Libia è l’ultima conseguenza della primavera araba, io l’ho soprannominato l’inverno arabo».
Che cosa pensa del ruolo della Turchia?
«La cosa più interessante è che Recep Erdogan è riuscito ad affermare la Turchia come una potenza nello scacchiere mediorientale. È una cosa nuova».
Qual è il peso della Russia sullo scacchiere geopolitico mondiale?
«Putin è riuscito a restituire alla Russia il ruolo di un Paese molto potente: Mosca è l’unica che può parlare a Iran, Arabia
Saudita, Israele, agli Hezbollah, ad Assad, all’egitto contemporaneamente. Non è poco».
La quotazione del Brent, il petrolio di riferimento per l’europa, è poco sopra i 65 dollari al barile, mente il Wti, quotato a New York, non arriva ai 59 dollari. Cosa prevede?
«Mi aspetto che il Brent rimanga nella parte bassa dei 60 dollari, anche grazie alla tregua commerciale tra Stati Uniti e Cina. Le tensioni commerciali sono dannose anche per il settore dell’energia, soprattutto per i Paesi esportatori e importatori. Possono rallentare la crescita, e quindi avere conseguenze sulla domanda globale».
È ottimista o pessimista sul futuro prossimo?
«Per natura sono ottimista, ma scrivere il mio ultimo libro mi ha reso meno tranquillo e, lo ammetto, anche più pessimista».
E perché?
«Quando si scrive, si guardano i numeri, si analizzano i dati e ci si rende conto che il mondo è pieno di nuovi rischi all’orizzonte, incluso il breakup della globalizzazione».