Subì violenze in Libia «Partì dalla Nigeria ma non va rimpatriata»
Anche se ti crediamo — aveva risposto nel 2018 il Tribunale civile di Milano a una nigeriana che chiedeva un permesso umanitario in Italia —, e cioè anche se crediamo che davvero in Libia hai subìto violenze sessuali e sei stata costretta a prostituirti, questo tuttavia non rileva perché il Paese delle violenze (Libia) non è il Paese dove saresti rimpatriata senza analoghi rischi (Nigeria). Ma ora la I sezione civile della Cassazione (presidente Travaglino, relatore Amatore) ordina a Milano sia di rifare individualmente valutazioni soggettive caso per caso, e non serialmente astratte sul Paese di possibile rimpatrio; sia di tener conto che, nel comparare il grado di integrazione effettiva del richiedente con la sua vulnerabilità soggettiva e con l’elemento oggettivo delle condizioni di vita nel Paese di rimpatrio, quest’ultimo elemento può essere attenuato quando straordinaria sia la vulnerabilità soggettiva. Il Tribunale di Milano dovrà quindi ri-comparare «la condizione emotiva di una giovane ripetutamente violentata e avviata a meretricio, indipendentemente dal luogo dove ciò sia avvenuto», con «la sua residua capacità di poter ancora sopportare una qualsiasi ulteriore forma di violenza (benché di tipo e intensità certo diversi), quale senza dubbio quella che ancora una volta contro la sua volontà la costringa ad abbandonare il Paese di accoglienza e fare ritorno in quello di origine». Specie se lì (come in Nigeria nel rapporto Easo 2017) «la violenza domestica» è ancora «molto diffusa e endemica»; e se qui invece una azienda, all’esito di 3 mesi di borsa-lavoro del Comune, ha già offerto alla ragazza 36 mesi di contratto di apprendistato.