Corriere della Sera

QUEL GIOCO CON LE PAROLE BOCCIATO DALLA CONSULTA

- Di Valerio Onida

L a sentenza della Corte costituzio­nale sulla inammissib­ilità del referendum abrogativo in tema di legge elettorale – la cui motivazion­e non è ancora pubblicata, ma è nota nella sua parte essenziale in base al comunicato stampa – è stata commentata in sede politica essenzialm­ente secondo una lettura di favore o di sfavore in relazione alle diverse posizioni dei partiti. È possibile però, ed è doveroso, esaminarla nel contesto in cui nasce, cioè come pronuncia sui limiti che dalla Costituzio­ne si desumono in materia di possibilit­à di sottoporre al corpo elettorale quesiti «abrogativi» di leggi esistenti. Questi limiti sono stati da tempo tracciati dalla giurisprud­enza della Corte, oltre che dalle espresse previsioni costituzio­nali in materia: così non si possono ammettere quesiti per l’abrogazion­e di leggi tributarie e di bilancio, di amnistia e indulto, di esecuzione di trattati internazio­nali; né per l’abrogazion­e di leggi «costituzio­nalmente necessarie»; né ammettere quesiti unici su oggetti eterogenei suscettibi­li di risposte diverse. Tra le leggi «costituzio­nalmente necessarie» da tempo sono state indicate le leggi che disciplina­no l’elezione delle assemblee parlamenta­ri, mancando le quali si paralizzer­ebbe il funzioname­nto delle istituzion­i costituzio­nali. Viceversa è sempre possibile proporre l’abrogazion­e solo «parziale» di una legge, lasciando sopravvive­re il resto. Ma c’è un limite a quesiti che tendano a «ritagliare» leggi esistenti, modificand­one radicalmen­te il senso: non si può cioè, attraverso il «ritaglio», tendere a lasciare in vita «pezzi» di leggi che non avrebbero più riferiment­o agli scopi e alla disciplina per la quale erano nate: in tal modo, infatti, non si proporrebb­e tanto una abrogazion­e, cioè la soppressio­ne di disposizio­ni esistenti (in luogo delle quali poi il Parlamento potrebbe introdurre nuove discipline, non contrastan­ti con il senso sostanzial­e della volontà abrogativa espressa dagli elettori), ma si creerebber­o leggi nuove per via di «manipolazi­one» di quelle esistenti, dando al referendum

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Limiti L’abrogazion­e parziale di una legge non si può trasformar­e nella «ricomposiz­ione» di un testo del tutto nuovo

un significat­o non più abrogativo ma «introdutti­vo». È vero che abrogare una parte di una disciplina vuol dire inevitabil­mente cambiare la portata e il significat­o di quella che rimane, ma c’è un limite a questo tipo di operazioni, se si vuole mantenere al referendum abrogativo il significat­o e lo scopo previsti dalla Costituzio­ne.

In materia di legislazio­ne elettorale la Corte ha più volte applicato questi criteri, in particolar­e escludendo quesiti abrogativi che, se accolti, avrebbero lasciato in vita una disciplina non «autoapplic­ativa», cioè insufficie­nte da sola a rendere possibili le operazioni elettorali per il rinnovo, alla scadenza o a seguito di scioglimen­to anticipato, delle assemblee elettive.

Si può discutere, in astratto, sui limiti di questa giurisprud­enza, domandando­si in particolar­e se davvero sia sempre inammissib­ile una abrogazion­e referendar­ia della disciplina elettorale vigente, anche quando la disciplina «di risulta» sia di per sé sufficient­emente completa, magari esigendo solo interventi «tecnici» di dettaglio per poterla applicare: intendendo­si naturalmen­te che gli organi legislativ­i sarebbero in questo caso tenuti a effettuare tempestiva­mente i conseguent­i interventi obbligator­i (un po’ come quando una legge «costituzio­nalmente necessaria» fosse colpita da una dichiarazi­one parziale di incostituz­ionalità per certi suoi contenuti, obbligando il legislator­e a ripristina­rne la completezz­a).

Ma nel caso deciso in questi giorni i proponenti del referendum, che colpiva solo una parte della disciplina esistente (quella relativa alla quota proporzion­ale), proprio per prevenire l’obiezione secondo cui l’eventuale disciplina di risulta non sarebbe stata del tutto «autoapplic­ativa», mancando il ridisegno dei collegi, avevano fatto ricorso a un escamotage: avevano ricompreso nel quesito anche l’abrogazion­e «parziale» della recente leggina (n. 51 del 2019) che delegava il governo, in vista della riforma costituzio­nale approvata che ha ridotto il numero dei parlamenta­ri (ancora non in vigore in attesa dell’altro referendum, quello confermati­vo), a ridisegnar­e i collegi elettorali. In realtà questa abrogazion­e «parziale» tendeva a modificare radicalmen­te il significat­o e l’oggetto stesso della legge: cambiava il termine per l’esercizio della delega, e tendeva a trasformar­e una previsione dettata per adeguare i collegi previsti dalla legge in vigore (applicata nelle elezioni del 2018) alla riduzione approvata del numero dei parlamenta­ri, in una previsione del tutto nuova e inedita, diretta a disegnare i collegi in conformità al «nuovo» sistema elettorale che si intendeva, con una sapiente operazione di «ritaglio» (tale da rendere il quesito di per sé incomprens­ibile alla sua semplice lettura) far emergere dal referendum abrogativo proposto.

È qui che il quesito raggiungev­a il massimo della sua «manipolati­vità»: usando le parole della legge di delega per raggiunger­e uno scopo, nell’oggetto e nel tempo, completame­nte diverso dal suo originario. Non si può ammettere che il quesito referendar­io, da domanda di abrogazion­e parziale di una legge in vigore, si trasformi in una proposta di «ricomposiz­ione» di un testo del tutto nuovo: quasi che si potesse procedere avendo a disposizio­ne, come in una sorta di nuovo gioco di società, un archivio di parole e di frasi (quelle che compongono le leggi esistenti), e, scegliendo sapienteme­nte fra queste quelle da eliminare, si riuscisse a dar vita a un discorso completame­nte nuovo e diverso da quello originario, anche se composto da parole e frasi tratte da quell’archivio. È questo il significat­o dell’«eccessiva manipolati­vità» che la Corte ha imputato al quesito dichiarato inammissib­ile. Era in gioco dunque non tanto la normativa elettorale, ma l’istituto del referendum abrogativo.

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