Oltre il predominio tecnologico Consigli per farsi bastare la vita
Il nuovo libro di Marcello Veneziani Dispera bene (Marsilio) è un breviario di consolazione. Parrebbe porsi in un orizzonte alto — tra Seneca e Boezio, diciamo — ; tuttavia, le pretese dell’autore sono più contenute: è un libro di conforto, un’aspirina per il pensiero. La filosofia come farmaco dell’anima si coltivava ai nobili tempi di Platone, Epicuro o Marsilio Ficino, non ora che è diventata in prevalenza analisi logica da laboratorio. Dunque, questo libro, più che filosofico è un amico paternalistico che dal comodino dice a te, «proprio a te lettore», come farebbe lui di fronte a qualche situazione della vita attuale. Un testo di condivisione.
Intanto, il punto di partenza: il lettore nichilista, depresso e sconfitto deve predisporsi al viaggio, mettersi nella condizione paolina di Spes contra spem. Quindi l’analisi: che cosa è successo perché si spargesse in modo così virale questa atmosfera di generale sfiducia e spaesamento? «È venuta meno la speranza che le cose possano durare ed è venuta meno la speranza che le cose possano cambiare». Una sfiducia — questa sì — condivisa da tutti, progressisti e conservatori, ottimisti e pessimisti, giovani e anziani che discutono, perlopiù, solo di due preoccupazioni: come trovare un lavoro e, poco dopo, come andare in pensione.
La critica al presente di Veneziani ricalca, metodologicamente, quella della Dialettica dell’illuminismo (1947) di Theodor Adorno e Max Horkheimer. All’apparire di una prassi positiva, immediatamente si rivela il volto negativo: con la crescita demografica dovuta al benessere si generano migrazioni e consumo di risorse; con lo sviluppo tecnologico la manipolazione genetica, il cyborg, il desiderio di evadere i limiti; con l’innovazione digitale la vita quotidiana si è ridotta all’esercizio di procedure e con i perfezionamenti della medicina la vita si è allungata, ma la vecchiaia è vissuta come fastidio e non come momento di saggezza. La morte, poi, è il grande rimosso «la nuova oscenità» (da qui l’accanimento terapeutico) e una vergognosa censura grava sul culto dei morti e della memoria.
Se il fine dell’illuminismo era quello di aumentare la felicità individuale e collettiva, il mondo digitale e globale ha fallito: praticamente non c’è al mondo un individuo felice. Il futuro è scomparso e «la modernità, invecchiando, si è fatta modernariato». Il futuro è sparito, ma tutti parlano incessantemente di futuro inteso come mero aggiornamento tecnologico: il futuro è il 5G o l’8k. Per questa società, votata solo all’obsolescenza dei consumi, il futuro è la discarica. La politica (alla quale è dedicata la seconda parte del libro) non fornisce più risposte e spinge a un’esistenza impolitica, al disimpegno.
Proviamo a vedere qualche via d’uscita o, almeno, percorribile. Intanto essere consapevoli che «non viviamo nel peggiore dei mondi possibili»; ma fin qui è un po’ come dire che non c’è limite al peggio. La via d’uscita non va cercata, per Veneziani, «nell’utopia cosmopolita e filantropica… che torna nelle vesti papali e dei potentati europei»: questa è la catastrofe del conformismo ipocrita, un finto umanitarismo che taccia tutto di fobia (xenofobia, sessuofobia…). Allora meglio lasciare l’ideologia e passare a una metodologia di sopravvivenza: affrontare una difficoltà alla volta, riconquistare una capacità critica, fare qualcosa nel proprio raggio d’azione.
Quindi liberarsi da sé stessi, dal selfie continuo, e riconquistare il principio di responsabilità, farsi «bastare la vita». Confidare in chi ami e ciò che ami che continuerà ad esserci per sempre, guardare a una tradizione che rassicura, coltivare e abitare altri mondi oltre quello tecnico-finanziario (ad esempio, quelli della preghiera, dell’arte, del ricordo dei defunti…). Rifondare la scuola, che si rifiuta di educare rincorrendo solo il «presentismo», dove educare è ritenuto «oltraggio» e l’eliminazione della pedana (vedi la difesa tentata sul «Corriere della Sera» da Ernesto Galli della Loggia) un atto necessario di libertà. Per non parlare dei metodi baronali di selezione della docenza universitaria, che nessun rottamatore rottama, o della retorica del «giovanilismo». Veneziani elenca anche la via della fede come strada, ma in una condizione un po’ estrema: «In dubbio rischia, puntando tutto su Dio. In dubio pro Deo».
È un libro che racconta pensieri che, in fondo, si sanno, ma non si dicono o sui quali non si vuole fermarsi a riflettere, o non ci si accorgeva di sapere.
Dialettica
Non appena compare una prassi positiva immediatamente si rivela il volto negativo
Minimalismo Affrontare i problemi uno alla volta e riconquistare una capacità critica