La paura delle altre Wuhan (e lo zelo contro il gioco)
Donadoni: «Rientreremo quando avremo garanzie»
A sinistra, un’immagine aerea dell’ospedale prefabbricato da mille posti letto completato a Wuhan a tempo di record. A destra, le ruspe al lavoro il primo giorno, il 24 gennaio
«Dobbiamo impedire una seconda Wuhan»: è la nuova parola d’ordine lanciata dal governatore dello Hubei chiuso nella quarantena. Il compagno Wang Xiaodong guarda disperato a Huanggang, un’altra grande città sotto la sua amministrazione, sette milioni di abitanti, che è diventata la seconda in tutta la Cina per numero di contagiati: oltre mille.
Per non diventare cittadini di «una seconda Wuhan», gli abitanti di Huanggang dovranno chiudersi in casa, ridurre al minimo i contatti. La direttiva per loro è che può uscire solo un membro per famiglia e solo una volta ogni due giorni, per le necessità essenziali. Stessa tattica a Wenzhou, altri milioni di anime nella vicina provincia dello Zhejiang: una sola persona per nucleo familiare potrà scendere in strada per fare provviste e resistere all’assedio.
A Wuhan la quarantena preventiva per 11 milioni di persone si fa più stretta. Isolamento obbligatorio in centri sorvegliati non solo dal punto di vista medico, ma anche con restrizione degli spostamenti, per chiunque abbia avuto contatti ravvicinati con portatori dell’infezione. «Chi rifiuta di collaborare sarà costretto da funzionari di pubblica sicurezza», annuncia il regolamento d’emergenza.
La situazione sembra caotica a Huanggang. Mancano indumenti protettivi, che vanno sostituiti più volte al giorno e non bastano mai. Così lo staff medico per evitare l’infezione si avvolge le scarpe in sacchetti della spazzatura e strisce ricavate da vecchi impermeabili, secondo Yicai, un sito specializzato di solito in notizie finanziarie. Ma in questi giorni i funzionari che secondo la stampa cinese saranno puniti «per negligenza di fronte al dovere di combattere il coronavirus»
ormai il virus ha spazzato via finanza e business. Le chiusure di uffici e fabbriche «non essenziali» per il Capodanno lunare proseguono almeno fino al 13 febbraio.
Il Partito-stato cerca di dare esempi di massimo rigore, per dimostrare ai cittadini in quarantena che chi sbaglia paga subito. Il sindaco e il capo dell’apparato comunista di Huanggang sono stati rimossi, degradato sul campo il direttore della commissione salute della città. La stampa annuncia che altri 337 funzionari saranno puniti «per negligenza di fronte al dovere di combattere il coronavirus». Ormai sappiamo quale è stata la negligenza: il virus a Wuhan passava da persona a persona fin da metà dicembre, dopo essersi presentato per la prima volta in un pezzo di carne di pipistrello del mercato a inizio dicembre. E da Wuhan, per settimane, si sono mosse inconsapevoli centinaia di migliaia di persone, portando il contagio in tutta la Cina e all’estero.
La crociata contro il «demone virus» ispira eccesso di zelo in alcuni. Da Wuhan e dallo Hubei in quarantena e da villaggi del Gansu e Anhui, meno colpiti ma in crisi di nervi, arrivano immagini di poliziotti che sfasciano tavoli da mahjong. Il gioco preferito dai cinesi è sospettato di poter diffondere il coronavirus tra chi tocca le tessere. Sono foto e filmati che circolano in rete e non si capisce perché gli agenti non si limitino a confiscare i tavoli. Ci sono piccoli esecutori oscuri e un po’ ottusi, spinti dalla paura. E ci sono eroi di cui non conosciamo il nome. Come il poliziotto di Wuhan che ha preso in braccio un anziano, forse infettato, che non ce la faceva ad arrivare in ospedale da solo.
Roberto Donadoni allena lo Shenzhen dalla scorsa estate. È rimasto in Cina fino a pochi giorni fa, al mare, dove ha cominciato a preparare la squadra per l’inizio del nuovo campionato, fissato per la fine di febbraio, ora è slittato. Ha concesso 5 giorni di riposo ai suoi giocatori perché potessero festeggiare il Capodanno, il 25 gennaio poi l’avventura dello Shenzhen è proseguita in Spagna a Girona dove la squadra è in ritiro precampionato.
Donadoni, come ha vissuto l’esplosione del coronavirus?
«Con stupore, perché eravamo là fino a pochi