Infuocata assemblea. Il «facilitatore»: evitare il voto su Rousseau
Mettiamo paletti, pretendiamo liste pulite, ragioniamo su un candidato di alto livello. Se dicono sì, confrontiamoci senza paura
ROMA È una sfida apparentemente locale, un confronto che riguarda una sola Regione, ma in realtà nasconde una partita più ampia e complessa. La decisione se correre da soli o con il Pd alle prossime Regionali in Campania è un primo step, un passo che farà capire se il Movimento ha intenzione di uscire dalla sua linea autonoma — imparziale tra destra e sinistra e quasi accidentalmente convergente con il Pd al governo — o se ha intenzione di schierarsi nel campo progressista. Sfida identitaria, che parte dalla Campania e arriva agli Stati Generali, slittati a fine aprile, dove ci sarà un redde rationem tra i due modi di intendere la nuova fase.
Il lungo e accesso confronto che si è tenuto ieri a Napoli — sette ore di dibattito con 400 attivisti e 120 interventi — ha mostrato un’altra crepa, di non minore livello, nel Movimento: quella tra il centro e la periferia, tra gli attivisti sul territorio e i rappresentanti a Roma, al Parlamento e in governo. Perché se questi ultimi sembrano orientati in grande maggioranza a percorrere le strade riformiste indicate da Nicola Zingaretti, i militanti locali non ne vogliono sapere di un Pd che combattono ogni giorno sul territorio. Per provare a smuovere la granitica resistenza intervengono diversi parlamentari, tra i quali anche Gilda Sportiello. Assente Luigi Di Maio, che ha preferito stare lontano da un’arena così impegnativa, dopo le dimissioni. Luigi Gallo sostiene la necessità di alleanze: «Se le avessimo negate nel 2018 i 2,5 milioni di poveri del nostro Paese avrebbero potuto mettere il piatto a tavola? Qualcuno immaginava che la Lega avesse potuto mai votare il reddito di cittadinanza e la legge anticorruzione? Qualcuno poteva immaginare che il Pd accettasse di rendere operativa la legge sulla prescrizione. E il taglio dei parlamentari?
Roberto Fico Dei vitalizi? Lo abbiamo sempre fatto con i voti di altre forze politiche».
No, dunque, all’autosufficienza. Stessa tesi di Roberto Fico, che esce per un giorno dalla marsina istituzionale e si tuffa nell’agone politico, spiegando che è finita un’epoca: «Siamo parte delle istituzioni. Sono la terza carica dello Stato. Abbiamo partecipato alla nomina dell’ad Rai». Insomma, il Movimento ormai è sistema. Non ha senso, è il ragionamento, starsene arroccati nell’isolamento.
Ma la strada è molto impervia, perché la decisione di scardinare la regola secondo la quale ci si può alleare solo con una lista civica deve passare attraverso Rousseau. E chi decide il voto sulla piattaforma? Il capo politico, anzi, il reggente: Vito Crimi. Che, di suo, sarebbe già contrario alle alleanze. In più dovrà tenere conto della relazione dei «facilitatori» locali. Tra i quali c’è
Luigi Iovino. Che spiega: «Io credo che si debba rispettare la volontà della base, che in grande maggioranza era contraria. Noi interpreteremo quella volontà e riferiremo. A questo punto, un voto su Rousseau lo vedo difficile».
Molti sono sconsolati. «Così saremo condannati all’irrilevanza, a scomparire». Per questo Fico lancia una proposta: «Mettiamo paletti, pretendiamo liste pulite, ragioniamo su un candidato di alto livello. Se dicono sì, confrontiamoci senza paura, altrimenti andiamo da soli». Prima di tutto, bisogna sostituire il dem Vincenzo De Luca con Raffaele Costa, poi andare su Rousseau.
Anche se la dimaiana Valeria Ciarambino, che si vuole candidare da sola «contro la politica clientelare delle fritture di pesce», già fa sapere che il voto deve riguardare solo i campani. Il precedente su Rousseau fu sull’umbria: votarono tutti (non solo gli umbri) e dissero sì all’alleanza. La Ciarambino non vuole finire «in un partitino irrilevante della sfera sinistrorsa». L’ex candidato sindaco e consigliere Matteo Brambilla è duro: «Sono arrabbiato. Se andiamo con il Pd non avrete mai il mio voto». Il rischio è quello di correre da soli e rischiare di perdere le elezioni regionali. Compromettendo il percorso nazionale con il Pd. Con conseguenze facilmente immaginabili sulle prospettive del Movimento (e del governo).