Ora Boris non esclude la rottura commerciale con l’unione europea
Nessuna concessione e nessuna giurisdizione della Corte europea
LONDRA Dicono che Boris sia «infuriato»: e stamattina scarica la sua ira sugli ambasciatori europei, davanti ai quali pronuncia un discorso sulle future relazioni tra Gran Bretagna e Ue. Non ci sarà «nessuna concessione, nessun allineamento, nessuna giurisdizione della Corte europea»: perché Londra vuole essere trattata da «eguale».
Il nodo del contendere è quanto i britannici potranno divergere dai regolamenti europei dopo la Brexit: sarà questo il nocciolo delle trattative che si svolgeranno nei prossimi 11 mesi. Bruxelles ha fatto capire che non ha nessuna intenzione di veder sorgere alle sue porte un concorrente che approfitti della deregulation per fare competizione sleale: ma Londra d’altra parte non ha nessuna voglia di fare la parte del Paese-satellite, tipo la Norvegia. Perché sarebbe uno scenario che «negherebbe la ragion d’essere della Brexit», ha fatto osservare ieri il ministro degli Esteri Dominic Raab: «Affronteremo i negoziati con spirito di buona volontà — ha spiegato — ma l’allineamento legislativo semplicemente non si verificherà». E perfino Nigel Farage, il leader del Brexit Party, ha salutato con favore l’approccio del governo, sostenendo che è «nell’interesse nazionale» della Gran Bretagna
diventare «un concorrente sulla soglia della Ue».
E allora si profila un nuovo scontro, di cui la salva d’inizio è il discorso di Johnson di stamane. Il governo britannico non si sente più obbligato a perseguire un trattato di libero scambio sul modello canadese, che elimina i dazi sulla quasi totalità delle merci: potrebbe puntare in egual misura a un accordo «debole» sul modello di quello con l’australia, dove ci si accorda solo su alcuni settori-chiave e il resto delle transazioni si svolge sulla base delle regole dell’organizzazione mondiale del Commercio. Quest’ultimo scenario è di fatto un no deal che implica il ritorno a controlli doganali e dazi sulle merci (ma anche un trattato «canadese» non eliminerebbe i controlli doganali).
Le conseguenze sugli scambi fra Europa e Gran Bretagna sarebbero pesanti. E l’italia sarebbe fra i Paesi più colpiti: l’anno scorso l’interscambio è stato di oltre 30 miliardi di euro e le nostre esportazioni Oltremanica sono continuate a crescere, superando i 20 miliardi di euro. Siamo l’ottavo Paese fornitore del Regno Unito (dopo Germania, Stati Uniti, Cina, Olanda, Francia, Belgio e Svizzera) e vantiamo un saldo attivo di oltre 10 miliardi (in crescita del 9% rispetto all’anno precedente).
In particolare, i britannici hanno intenzione di divergere dai regolamenti europei in materia agro-alimentare e questo introdurrebbe un forte elemento di «attrito doganale» per le nostre esportazioni, in cui giocano buona parte il cibo e le bevande: vedremo le forme di Parmigiano bloccate nel porto di Dover?