Con o senza Orbán Il dilemma del Ppe che teme di cedere un asso ai sovranisti
Oggi si apre il summit del partito a Bruxelles
BERLINO Oggi e domani a Bruxelles, i vertici del Partito popolare europeo dovrebbero decidere la sorte di Viktor Orbán e del suo partito, il Fidesz, la cui appartenenza alla più grande famiglia politica europea è attualmente sospesa, pendente una misura definitiva.
Nelle stesse ore, il premier ungherese giunge a Roma, dov’è molto atteso il suo intervento alla National Conservatism Conference, il vertice internazionale della destra conservatrice e nazionalista, che sarà inaugurato da Giorgia Meloni e vedrà anche la partecipazione di Matteo Salvini e Marion Maréchal Le Pen.
I due contemporanei appuntamenti fotografano in modo plastico il dilemma che affligge il Ppe, ma anche i dubbi del tribuno magiaro, affascinato dalle sirene dei sovranisti doc, ma incerto se mollare gli ormeggi dalla banchina un po’ malconcia eppur sicura dei cristiano-democratici.
Il Ppe rimane diviso. Lo sono i tre saggi, incaricati lo scorso marzo di redigere il rapporto sul caso Fidesz (l’ex premier belga van Rompuy, l’ex cancelliere austriaco Schlüssel e l’ex presidente dell’europarlamento Pöttering) e che non hanno saputo sciogliere il quesito di fondo, se cioè il partito ungherese debba rimanere o essere espulso dalla famiglia popolare.
Lacerato è soprattutto il Ppe. Per anni, le politiche autoritarie di Orbán sono state tollerate. Mentre a Budapest gli spazi di democrazia venivano ristretti, la separazione tra i poteri eliminata, le basi dello Stato di diritto progressivamente minate, i popolari hanno scelto sempre la strada del dialogo con l’ungherese cercando di coprire le differenze interne. Ma già nel settembre 2018 la spaccatura era emersa quando la maggioranza dei deputati del Ppe a Strasburgo votò a favore dell’apertura della procedura d’infrazione contro l’ungheria, per violazione dei valori fondamentali dell’unione europea. Fra coloro che votarono contro, la delegazione di Forza Italia.
La divisione è apparsa ancora più evidente il mese scorso, quando una nuova risoluzione dell’europarlamento, che ha invitato il Consiglio europeo a rafforzare la pressione su Ungheria e Polonia sul tema dei diritti fondamentali, ha avuto di nuovo il sostegno di buona parte del gruppo popolare, ma non dei suoi membri italiani, francesi, spagnoli e sloveni, oltre a molti astenuti. «Ero a un centimetro dall’uscita dal Ppe — ha dichiarato Orbán, che ha sempre detto di volersene andare un minuto prima di essere espulso — ma la posizione di questi amici mi ha convinto per il momento a restare».
La linea della spaccatura passa quindi grosso modo sull’asse Nord-sud, con i partiti delle democrazie nordiche decisi a sbarazzarsi di una presenza così ingombrante.