La rivoluzione Thiem può attendere
Ottavo Australian Open e n. 1: «Ora il progetto Slam»
La rivoluzione si è fermata a un set dalla ghigliottina, troppo lontano dalla meta quando in campo, sul veloce di Melbourne, c’è un satanasso di nome Novak Djokovic. Due sono le missioni impossibili nel tennis: battere Nadal al Roland Garros e il Djoker all’australian Open benché il sovversivo con le meches e un’idea meravigliosa in testa, Dominik Thiem, manufatto di metallo temprato uscito 26 anni fa dalle acciaierie austriache, dalla sua avesse solidi argomenti: quattro successi in dieci confronti diretti con il serbo, l’ultimo alle Atp Finals, quando sembrava che la nouvelle vague (Tsitsipas, nello specifico) avesse preso il sopravvento per restare.
Invece no. A Thiem — preso per mano dall’ex pro cileno Nicolas Massu, capace di far evolvere un terricolo aggressivo in giocatore da veloce sulla falsariga di Nadal — non è bastata una lenta e progressiva marcia di avvicinamento ai Big Three, sintomo di una curva di crescita intelligente e mai forzata. Non è servito livellare il match (4-6, 6-4) infilandosi nelle crepe di un avversario innervosito dal warning dell’arbitro per aver perso tempo e nemmeno prendere un vantaggio di due set a uno (6-2 nel terzo) approfittando del calo energetico di Duracell, quasi una crisi di fame sui tornanti dell’ayers Rock. Assistito dal fisioterapista due volte, reidratato e sfamato ai cambi di campo, Djokovic è uscito dall’inferno con la resilienza che gli è propria incurante delle fiamme, ritrovando nel quarto (6-3) il peso specifico e la profondità dei 17
Elasticità Il talento atletico di Novak Djokovic, 32 anni, 8 volte re di Melbourne (Getty) colpi e nel quinto (6-4) la caparbia brillantezza — nel tennis, nel corpo e nell’anima — titoli Slam vinti con cui si è agganciato al treno 8 Australian Open, degli Immortali per non 1 Roland Garros, 5 scenderne più. Minacciandoli, Wimbledon, 3 Us Open. a questo punto, di un sorpasso Federer in vetta con 20 a destra e senza freccia.
Forte dell’ottavo titolo dell’australian Open, del numero uno del ranking riguadagnato e del 17esimo Major della carriera, respinto il tentativo di golpe con l’ennesima restaurazione (l’ultimo successo alieno risale al 2016: lo svizzero sbagliato, Stan Wawrinka, all’open Usa), Djokovic a 32 anni guarda al futuro con ottimismo: «Questa e la prossima stagione saranno decisive per il progetto di fare il record di Slam. Mi ci dedicherò con tutte le energie che ho» ha ammesso. Giocherà e viaggerà meno, passerà più tempo di qualità con i figli, preparerà Parigi a Montecarlo con la meticolosità di cui solo lui è capace, costruirà sulla conquista del Roland Garros (sarebbe «solo» la seconda volta) un’ipotesi di Grande Slam (quello vero: quello spurio l’ha già centrato), l’impresa suprema in grado di farlo decollare verso un iperuranio che sovrasti sia Federer (20 Slam) che Nadal (19), la perla della carriera che gli altri due non hanno mai trovato dentro l’ostrica.
Dodici anni fa, il Djoker vinceva proprio a Melbourne il primo Slam. Vestiva un marchio tedesco, era celibe, né papà né miliardario. È ancora lì, sul pezzo, dopo una vita a rincorrere. E non ha esaurito il fiato nei polmoni.