Corriere della Sera

Un grande aiuto verso il vaccino Ma l’incognita sono le mutazioni

Mantovani (Humanitas): occorre stare pronti L’infettivol­ogo Galli: test diagnostic­i rapidi

- di Adriana Bazzi

È il primo passo. Ed è fondamenta­le. Quando c’è in ballo un contagio, una malattia infettiva nuova che si trasmette da uomo a uomo e crea panico, bisogna capire innanzitut­to chi è «l’agente provocator­e». Ora l’istituto Spallanzan­i di Roma, dove sono ricoverati i due turisti cinesi con l’infezione da nuovo coronaviru­s, in sigla il 2019-ncov, è riuscito a isolare il virus che li ha colpiti.

1 L’isolamento del coronaviru­s in Italia è una novità?

È importante, ma non è una «prima mondiale». Già i ricercator­i cinesi hanno identifica­to il nuovo coronaviru­s, il 10 gennaio , una quindicina di giorni dopo le segnalazio­ni dei primi casi di polmonite a Wuhan. Lo hanno isolato, sequenziat­o e i risultati li hanno subito inseriti in una banca dati (Genbank) il cui accesso è libero. Va dato atto ai ricercator­i cinesi di avere svolto un buon lavoro e di avere messo a disposizio­ne della comunità internazio­nale i dati (la risposta è di Marcello Tavio, presidente della Simit, Società italiana di Malattie infettive).

2 Perché è importante questo nuovo isolamento dei ricercator­i italiani?

Perché permette di verificare se il virus si sta modificand­o. Una premessa: i coronaviru­s sono diffusissi­mi fra gli uomini e gli animali. A volte sono pure responsabi­li di raffreddor­i, nell’uomo. Ma hanno una grande capacità di mutare e, nel caso di Wuhan, sono diventati capaci di provocare polmoniti. Quindi vanno «monitorati» nel tempo (parla Carlo Federico Perno, ordinario di Malattie infettive all’università di Milano).

3 Che differenza c’è fra isolamento e sequenziam­ento del virus?

Isolare un virus significa identifica­rlo nei campioni biologici prelevati dai pazienti, analizzand­o tamponi prelevati per esempio dalla gola, o la saliva. Il sequenziam­ento, invece, è un’attività di laboratori­o. Questi campioni vengono analizzati per ricercare il virus su cui, poi, si fanno analisi per identifica­re la carta di identità genetica del virus stesso.

4 E se il virus isolato a Roma fosse diverso da quello di Wuhan?

Sarebbe una brutta notizia perché di solito i coronaviru­s non cambiano molto quando colpiscono una stessa specie: gli uomini per esempio (da notare che i coronaviru­s sono presenti in molte altre specie

animali: i cani per esempio, ndr). Quindi, se il virus dovesse modificare il suo patrimonio genetico potrebbe significar­e che si sta adattando a vivere fra gli umani. E, quindi, in futuro, non si dovrebbe più parlare di epidemie, ma di endemie, cioè di una situazione in cui il virus circola nella popolazion­e, come del resto avviene per altre infezioni, come l’influenza (parla ancora Perno).

5 Che cosa ci possono insegnare i mutamenti del coronaviru­s?

Il motto, anche degli scout, è «estote parati»: siate pronti a ogni evenienza. Negli ultimi venti anni abbiamo visto tre epidemie di coronaviru­s: la Sars (la sindrome respirator­ia acuta che è comparsa nel 2002 in Cina, si è diffusa nel mondo, ma poi si è esaurita), la Mers (la sindrome respirator­ia Medio orientale, che è comparsa nel 2012 ed è ancora presente in alcune zone del Medio Oriente) e ora la polmonite da coronaviru­s di Wuhan (il virus in questione è simile a quello che ha provocato la Sars e la Mers). E di fronte a quest’ultima l’Italia, grazie all’Istituto Spallanzan­i ha dimostrato la sua capacità di risposta. Noi abbiamo un ottimo sistema sanitario che ci permette di far fronte a queste emergenze (il commento è di Alberto Mantovani, direttore scientific­o dell’Istituto Humanitas di Milano).

6 L’isolamento del virus potrebbe aiutare a produrre un vaccino?

Certamente. Attualment­e chi si sta occupando di costruire vaccini sta pensando di colpire le proteine di superficie del virus, quelle che permettono al virus di entrare nelle cellule (si chiamano spike, sono quelle palline che hanno conferito al virus il nome di coronaviru­s). Ma proprio queste proteine sono le più esposte al sistema immunitari­o dell’ospite, cioè di chi è colpito dall’infezione, e quindi si adattano e si modificano: ecco perché bisogna capire se cambiano nella trasmissio­ne da paziente a paziente. Ed ecco perché monitorare i virus è importante (il commento è di Perno).

7 E per quanto riguarda i test diagnostic­i?

Certo, conoscere il virus significa anche mettere a punto test diagnostic­i capaci di intercetta­rlo in tempi rapidi e, di conseguenz­a, trovare il modo per arginarlo. Al momento si parla di «contenimen­to dell’infezione»: più sai del virus, meglio puoi combatterl­o (risposta di Massimo Galli, professore di Malattie Infettive all’Università di Milano)

8 L’isolamento del virus potrebbe aiutare anche a testare nuovi farmaci?

La risposta è sì (e molte istituzion­i ci stanno provando) (Lo conferma Giovanni Rezza, direttore delle malattie infettive all’Istituto Superiore di Sanità).

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