LA SICUREZZA NECESSARIA
Il tragico incidente di ieri mattina a Lodi ha causato la morte di due macchinisti che stavano facendo il loro lavoro. E avrebbe potuto provocare un bilancio ancor più cruento in termini di vite umane spezzate. È il primo deragliamento di un treno dell’alta velocità e anche per questo motivo ci sarà bisogno che il processo di accertamento delle cause e delle responsabilità sia particolarmente accurato.
Primi riscontri che vengono dagli inquirenti rimandano ad errori compiuti durante la manutenzione notturna, vedremo se saranno confermati e quali contromisure i gestori della rete ferroviaria adotteranno per evitare qualsiasi tipo di bis. Dopo la drammatica vicenda del Ponte Morandi siamo entrati, nostro malgrado, nella stagione della fragilità delle infrastrutture, ma nel caso di Lodi non ci sono neanche eventi atmosferici o cause esterne che abbiano congiurato a originare il disastro, tutto va ricondotto a quella che dovrebbe essere l’ordinaria gestione del traffico. Ma se per quanto riguarda gli errori umani dei macchinisti esistono tutta una serie di sistemi automatici e di tecnologie avanzate che li rendono pressoché impossibili, evidentemente nel caso della manutenzione della rete non è ancora del tutto così.
Arendere più inquietanti i primi bilanci sull’incidente non ci sono solo il cordoglio per le vittime e i dubbi sulle presunte inefficienze ma anche la considerazione, non ultima, di come l’alta velocità rappresenti uno dei rari casi di successo dell’iniziativa pubblica italiana degli ultimi dieci anni. In queste ore di doloroso lutto va detto che i treni veloci hanno cambiato il Paese. O almeno quella parte dell’italia che può beneficiarne (20 milioni di abitanti). Secondo i dati forniti dal professore Ennio Cascetta, uno dei pionieri dell’alta velocità italiana, riportati il 30 gennaio scorso dal Sole 24Ore, le città dotate di stazioni AV avrebbero visto crescere il proprio Pil nel decennio 2008-18 del 10% contro il 3% delle province che sono distanti più di due ore da una fermata. Si calcola poi che i 43 milioni di spostamenti su Alta velocità conteggiati nel 2017, ultimo dato disponibile, siano stati per il 40% aggiuntivi. E si spiegano, infatti, con un’integrazione dei mercati territoriali del lavoro — almeno nella fascia alta — e più in generale con un diverso orientamento delle scelte di residenza e mobilità di molte famiglie.
Il successo è stato così ampio che sul versante della domanda ci sarebbero le condizioni per autorizzare un terzo gestore dopo Trenitalia e Italo, senonché è l’offerta infrastrutturale (ancora una volta!) a rendere difficile l’allargamento perché segnata da alcuni colli di bottiglia, in primis il nodo di Firenze. Non ultima considerazione da ricordare, l’alta velocità è un esempio, dal punto di vista sistemico, dei vantaggi della concorrenza perché ha saputo produrre pluralismo, competizione e riduzione dei prezzi. Occorre
quindi il massimo dell’attenzione per evitare di compromettere questo patrimonio di esperienze, specie in un Paese che le occasioni di sviluppo tende a sprecarle.
Non possiamo permetterci di armare, le une contro le altre, le ragioni della sicurezza e quelle della crescita. In altri termini e con un’altra posta (la salute dei tarantini) questo conflitto l’abbiamo già vissuto e pagato nel caso Ilva. Le indagini, quindi, dovranno sgombrare il terreno dai dubbi e dagli interrogativi di queste ore perché avremmo bisogno di «più Tav». Se infatti l’alta velocità (esistente) con il suo successo ha ampliato le differenze tra le «città aperte» e quelle «dimenticate», l’antidoto sarebbe quello di sostenere e finanziare i programmi di completamento della rete. A condizione però di non archiviare Lodi e il tragico prezzo di vite umane che abbiamo pagato.