L’antivirus
Il presidente della Repubblica ha visitato a sorpresa una scuola di Roma frequentata da bambini cinesi. Con il metro attuale, qualcuno lo considererà un gesto quasi scriteriato. Si tenga conto che né Mattarella né i bambini, ma a quanto ci risulta neanche i corazzieri, indossavano la mascherina. Tra aerei che cadono, treni che deragliano e germi che infettano, uscire di casa sta diventando una scelta eroica. Con i due ferrovieri del Frecciarossa, sono già quaranta le persone cadute sul lavoro in Italia dall’inizio dell’anno: se le avesse uccise il coronavirus, ci sarebbe il panico per le strade.
In questo clima, dove di motivi seri per spaventarsi ne esistono a iosa, la visita di Mattarella agli scolaretti cinesi offre un barlume di speranza. Attraversare i pregiudizi fa bene a tutti. Soprattutto quando a dare l’esempio è un rappresentante delle istituzioni. La storia dei politici che devono assomigliare al «popolo» non mi ha mai convinto. Non per snobismo, ma perché da un politico pretendo che sia migliore di me: non solo più serio e capace, ma anche meno emotivo e credulone. Che non faccia il megafono dei miei incubi, ma provi a mostrarmene l’inconsistenza, per quel che può. I gesti politicamente scorretti sono da qualche tempo i più prevedibili e comodi di tutti. Un uomo di Stato che esprime vicinanza ai bambini di una comunità demonizzata sta facendo qualcosa di scomodo e imprevedibile. Il Caffè, commosso, ringrazia.