Deraglia il treno, la morte a 290 all’ora
Lodi, il treno Milano-salerno è deragliato all’alba L’ipotesi: manutenzione sbagliata poche ore prima
«Uno scambio sistemato in una posizione non giusta», ha detto il procuratore. Dunque, un terribile errore umano l’origine del disastro ferroviario verificatosi all’alba di ieri sulla linea dell’alta velocità, a Lodi. Il Frecciarossa era già lanciato a 290 all’ora quando è stato deviato su un binario sbagliato. Morti i due macchinisti
L’inizio del disastro è un tratto di binario sinistro sparito; la sua fine sono i poveri resti dei due macchinisti, adesso confusi tra i loro trolley e i blocchetti dei fogli di viaggio dispersi sul terreno assieme a brandelli di sedili e pianali delle cassettiere. In questa distanza — trecentocinquanta metri —, la scientifica cristallizza la parte decisiva della scena del crimine. Dapprima il chilometro «166+771», dove a causa di uno scambio lasciato aperto, quindi deviato rispetto al suo asse, alle 5.35 il Frecciarossa 9595 Milano-salerno ha iniziato a deragliare; poi la zona dell’impatto della vettura di testa contro due macchinari per la manutenzione, fermi su un’altra rotaia.
La rotaia che il convoglio non avrebbe mai dovuto imboccare.
I 290 chilometri orari
Era il primo treno che ieri mattina transitava in questo rettilineo piatto, su binari dove meno di un’ora prima gli operai avevano terminato operazioni ordinarie, già programmate, di conservazione e «pulizia» della rete ferroviaria. I due macchinisti nella carrozza di testa, Mario Dicuonzo e Giuseppe Cicciù, di 59 e 51 anni, sono le uniche vittime. Tra i ventotto passeggeri, nessun ferito grave. Che la tragedia avrebbe potuto trasformarsi in una strage infinita è un dato oggettivo; la ridottissima statistica di incidenti relativi a treni Frecciarossa è un secondo dato; ma entrambi questi dati vengono annullati dalla certezza — e lo stesso procuratore di Lodi l’ha data per acquisita ieri — di un errore umano, proprio in relazione a quello scambio aperto, e dalla conseguente agonia di due uomini che si sono accorti di star per morire sul lavoro senza riuscire a frenare il convoglio. Qui, a Ospedaletto Lodigiano, paese di 1.700 abitanti, i Frecciarossa raggiungono i 290 chilometri all’ora. Così fulminei che i nonni quasi non portano i bimbi a guardare i treni. Schegge in movimento all’interno di un paesaggio cui il viaggiatore in uscita da Milano (il 9595 aveva lasciato la stazione Centrale alle 5.10) spesso non fa caso. Specie quand’è così presto, ci si riposa sui sedili.
È una mattina di cielo limpido, privo di nebbia, e tra poco si irradierà la luce del sole. Nessun problema di visibilità. Le prime segnalazioni parlano unicamente di un deragliamento, non delle sue probabili cause. I binari corrono paralleli all’autostrada, non servono navigatori per orientarsi; il Frecciarossa è qui sotto, dopo il casello, più basso rispetto alle corsie dell’a1, il corpo del treno unito, tranne la prima carrozza, che nella composizione del treno è la seconda.
La rotaia deformata
La carrozza è rovesciata su un fianco. Ancora non si nota la vettura di testa. Occorre prendere una strada sterrata, ai limiti di distese di campi, di cascine e canali, superare la recinzione di una struttura delle Ferrovie, adibita al ricovero di macchinari e al deposito di attrezzi, e ora quella vettura di testa compare. Deformata. Sopra, quel che dei corpi dei macchinisti la furia della velocità e dello scontro non ha espulso tutt’intorno. Vi saranno parti rintracciate a quattrocento metri. Nessuno dei soccorritori sa a quale scenario sta andando incontro. L’arrivo di mezzi e risorse da mezza Lombardia testimonia la mancanza di elementi orientativi. Impossibile conoscere con esattezza quante persone siano sul treno. Vigili del fuoco e personale del 118 si dividono i vagoni e salgono in perlustrazione. I sopravvissuti si lamentano al buio, a terra. L’elicosoccorso atterra nel vicino prato, sull’erba fredda e umida, in attesa dei casi disperati. Non ce ne sono. Il più grave sarà un codice giallo. Si attenua la mobilitazione di massa negli ospedali dei dintorni. Diventa unicamente una questione di inchiesta. E l’inchiesta torna all’origine, a quel chilometro «166+771». In gergo tecnico, il «punto zero». Ovvero il tratto nel quale il treno ha perso l’aderenza dal binario. Gli investigatori si chinano e a occhi nudi, senza l’ausilio degli strumenti della scientifica, scorgono evidenti anomalie: il tratto del binario sinistro sparito, perché sradicato e trascinato dal Frecciarossa fuori controllo, e soprattutto un tratto di rotaia che si è alzato e curvato. Andando ancora più indietro, i poliziotti non scoprono ulteriori tracce, che possono provare una sbandata, la progressiva perdita di aderenza, così come pezzi del treno che si sono staccati. Tutto è sintetizzato nel «punto zero». L’avvicinamento lungo la direzione opposta, verso i macchinari centrati dalla vettura di testa, mostra, ugualmente con evidenza, il percorso irregolare del Frecciarossa, che ha mangiato terreno, raccolto e scagliato detriti e pietre, fino alla sua divisione: la testa che ha scartato sulla sinistra, e la seconda e le successive carrozze che hanno proseguito insieme. Non ci fossero stati quei maledetti macchinari, osserva un poliziotto, forse saremmo riusciti a evitare anche una sola perdita; una considerazione inutile, ma che dà l’idea dello stato d’animo diffuso: da una parte, mentre trascorre il tempo e si susseguono le visite istituzionali, la crescente consapevolezza di un bilancio «contenuto», questa l’espressione usata, di contro all’invincibile incidenza della malasorte. Fosse stato più indietro, fosse stato oltre la struttura delle Ferrovie...
Due anni fa
Sicuri di rendere l’immagine, anche perché altre efficaci non ce ne sono, i sopravvissuti hanno parlato di lunghi secondi come se stessero sulle montagne russe, quando il Frecciarossa, che oltre ai macchinisti ospitava altri tre lavo
ratori (l’addetto alle pulizie e i due al bar), saltava sui binari, scaricava balzi improvvisi e ondeggiava minacciando di piegarsi su un lato. Lo scorrere del treno contro la massicciata ha permesso il mantenimento di un equilibrio, pur se precario. Viaggiatori che la sera di mercoledì sono transitati all’altezza di Ospedaletto Lodigiano sempre su un Frecciarossa, hanno rivelato d’aver percepito forti sommovimenti a bordo, tipici di un convoglio che incontrava ostacoli sul tragitto. Racconti che anticiperebbero la presenza di problemi prima degli interventi di manutenzione nella nottata, ma che devono essere vagliati dagli inquirenti. Già ieri, sono stati ascoltati gli operai addetti alla sistemazione delle rotaie e al momento i principali sospettati dell’errore allo scambio, s’ignora se per stanchezza, negligenza oppure mancata supervisione (è personale interno). Nuovi interrogatori avverranno nelle prossime ore, includendo operai incaricati di vecchi interventi. Lo scambio era aperto verso un binario secondario. Possibile sia stato smontato e poi rimontato al contrario. L’inversione dello stesso scambio potrebbe aver beffato gli elevati sistemi di controllo: la tecnologia ha letto la presenza di quel pezzo, certo, ma non la sua differente posizione, e non ha pertanto segnalato pericoli. Del disastro si occupano investigatori che avevano risolto l’incidente del 2018 a Pioltello, in provincia di Milano, quando un treno dei pendolari era deragliato provocando la morte di tre donne. Anche allora c’erano tracce immediate nella loro nitidezza. Pochi giorni fa, in occasione della commemorazione, i famigliari delle vittime hanno invocato verità e giustizia. L’hanno fatto ancora una volta.
La sicurezza nei trasporti e delle nostre infrastrutture in generale è un diritto dei cittadini che lo Stato deve garantire Giuseppe Conte Presidente del Consiglio