Quello che non ha funzionato nel sistema dei controlli
Il primo incidente sulla rete dell’alta velocità in Italia non può non suscitare apprensione nei 170 mila passeggeri che tutti i giorni la percorrono. Sono 15 anni che i treni superveloci volano su quei binari, dieci che esiste un servizio commerciale. Nel resto d’europa l’alta velocità ha già registrato incidenti mortali tra Francia, Spagna e Germania. In Italia fino a ieri nessuno. Se la statistica ha un senso, un incidente per quanto grave, al punto purtroppo di essere costato la vita a due persone, e non è un dettaglio, non dovrebbe far crollare la fiducia che in questi anni 350 milioni di viaggiatori hanno riposto nella sicurezza di questo sistema di trasporto in Italia.
Eppure non possiamo nascondere l’inquietudine: come è possibile che anche un mezzo sofisticato come un treno dell’alta velocità possa fallire? Come accade tutte le volte che a «tradirci» è una tecnologia che pensavamo imbattibile, la paura supera la razionalità. Per non cedere a questo impulso, in attesa che le indagini facciano il loro corso, non resta che cercare di capire come funziona il sistema di sicurezza dell’alta velocità.
Secondo quanto riportato da Ferrovie dello Stato, dal 2002 al 2019 gli investimenti realizzati per la sicurezza ferroviaria dal gestore della rete (Rfi) sono raddoppiati: da 1.146 milioni di euro nel 2002 a 2.240 milioni di euro nel 2019. Quel che è certo è che l’intera rete Alta velocità/alta capacità è dotata di sistemi avanzati di protezione della circolazione dei treni, in particolare l’european rail traffic management system (Ertms) controlla la velocità massima ammessa e la distanza dei treni, istante per istante, intervenendo automaticamente in caso di superamento di tali limiti. La stessa tecnologia, operativa in Italia da 15 anni, consente lo scambio di informazioni tra i treni e chi controlla il traffico da terra. È lo stesso treno, circolando sulla rete, a rilevare le anomalie che vengono registrate e girate a chi si occupa della manutenzione. Tutte le settimane i treni diagnostici percorrono l’intera rete per ulteriori rilevamenti. Inoltre c’è la diagnostica effettuata periodicamente su punti fissi.
Questo per dire che è difficile che un’anomalia sfugga ai controlli. E questo è tanto vero che il binario lungo il quale è avvenuto l’incidente era stato oggetto di manutenzione proprio qualche ora prima dello stesso. Il rilevamento dell’anomalia conta molto a livello preventivo, ma non è tutto. Occorre che l’intervento che segue sia tempestivo ed efficace. Lo è stato quello che è stato effettuato a Lodi? Probabilmente no, questa è la traccia che starebbero seguendo gli inquirenti. Un errore umano, dunque. Il treno deragliato è stato il primo a percorrere la tratta dopo i lavori. Il sistema di segnalamento dell’anomalia qui evidentemente non ha potuto funzionare.
Gli investimenti
Dal 2002 al 2019 gli investimenti per la sicurezza di Rfi sono raddoppiati: da 1.146 milioni di euro a 2.240 milioni di euro