Tattica e dollari, Bloomberg è pronto
L’ex sindaco di New York aspetta marzo ma ha già speso 314 milioni (e raddoppierà) Negli spot mostra The Donald grasso e goffo La base democratica è pronta a votarlo?
NEW YORK Michael Bloomberg, l’oggetto misterioso di questa campagna elettorale, ha già speso la cifra record di 314 milioni di dollari per sostenere la sua candidatura pur non essendosi ancora presentato al cospetto dei votanti (scenderà in campo solo tra un mese nel Supermartedì che assegnerà quasi il 40 per cento dei delegati chiamati a scegliere il candidato democratico alla Casa Bianca). Fin qui assente dal confronto tra gli aspiranti alla nomination, il miliardario ex sindaco di New York ha già riempito le reti televisive di spot pubblicitari e, dopo il caos dei caucus dell’iowa, ha ordinato al suo team di raddoppiare gli investimenti. La sua campagna, poi, ha già assunto 1700 funzionari in 40 Stati.
Questa tattica pagherà, alzando indici di gradimento per lui ancora piuttosto bassi? O questo ricorso eccessivo alla sua ricchezza personale provocherà una crisi di rigetto nell’elettorato democratico? Questo dubbio per ora non sembra sfiorare un imprenditore che ha sempre usato il denaro come apripista politico spendendo centinaia di milioni anche per diventare sindaco di New York. E che ha addirittura ottenuto un terzo mandato grazie a una legge — sostenuta da fondazioni finanziate dallo stesso sindacotycoon — che ha modificato le regole elettorali.
Nulla di quello che Donald Trump può dire o fare potrà mai danneggiarmi
Michael Bloomberg
Bloomberg, sicuro delle sue capacità di amministratore esibite nella Grande Mela, considera il denaro solo un mezzo e ora la sua attenzione è concentrata altrove: Joe Biden, sconfitto in Iowa, vuole rialzarsi e combattere: «Ho preso un pugno nello stomaco, ma non è la prima volta che vado ko: mi sono sempre ripreso». Ma Bloomberg, sceso in campo quando si è reso conto della debolezza dell’ex vicepresidente, spera che Biden fallisca anche le prossime prove: martedì in New Hampshire
dove dovrebbe vincere facile Sanders, ma anche in Nevada e South Carolina dove, in teoria, l’ex vicepresidente è più forte. Per lui Bloomberg ha solo parole di stima e afferma che non lo attaccherà mai, ma fa capire che un suo ritiro, in caso di ulteriori sconfitte, gli faciliterebbe la conquista dell’elettorato centrista.
Il miliardario ex sindaco di New York si giocherà tutto nel Supermartedì di inizio marzo, quando voteranno 14 Stati compresi i più grossi in termini di delegati assegnati: California
e Texas. Bloomberg va verso quell’appuntamento saturando l’etere di spot pubblicitari che descrivono le sue capacità amministrative ma, soprattutto, sono concepiti come attacchi mirati a Trump dove il presidente è più vulnerabile: il suo narcisismo. In questi messaggi Bloomberg parla con sufficienza dell’immobiliarista al quale, da sindaco, ha fatto alcune concessioni, ma, soprattutto, fa scorrere vecchie immagini di un Trump grasso e goffo che si arrampica carponi sui pendii di un campo di golf.
Il presidente reagisce con tweet furibondi, ma non riesce ad andare oltre l’ironia sulla bassa statura del miliardario dell’informazione finanziaria, da lui soprannominato «Mini Mike». Bloomberg non se ne cura e continua a sfotterlo: sa che un presidente ricco, rispettoso solo del denaro, ha un complesso d’inferiorità davanti a lui che ha messo insieme un patrimonio di 60 miliardi di dollari, uno dei più grandi d’america.
Se avrà la nomination, Bloomberg potrebbe anche battere Trump, ma è difficile che gli elettori democratici votino in massa per un altro miliardario. La vera difficoltà, per Bloomberg, è questa: convincere gli elettori e il partito democratico che quella del 2020 è una partita anomala, da giocare fuori dai canoni tradizionali della politica, che solo lui può vincere. Dopo la distorsione della democrazia repubblicana divenuta affare di dinastie — i Bush, i Clinton, forse, presto, i Trump — la Casa Bianca contesa da due miliardari?