Attacchi agli israeliani, la risposta» di Hamas
Gli estremisti palestinesi contro il piano Trump. Tre episodi, 14 militari feriti tra Gerusalemme e Cisgiordania
Il gruppo di soldati israeliani cammina nel buio, illuminati dalla luce dei lampioni come un bersaglio. Dalla vecchia stazione dei treni diventata zona di bar e discoteche vogliono raggiungere il Muro del Pianto. L’attentatore arriva alle spalle, scaglia l’auto sul marciapiede, almeno 14 militari restano feriti, uno è in gravi condizioni.
Quello nella notte è solo il primo attacco. Poco prima di mezzogiorno, un assalitore si avvicina a una pattuglia dalle parti della Città Vecchia, spara e ferisce un poliziotto, gli altri agenti reagiscono, viene ucciso: era un arabo israeliano di Haifa, cristiano convertito all’islam, precedenti penali. Nel pomeriggio i colpi da una macchina feriscono un soldato israeliano vicino alla colonia di Dolev in Cisgiordania.
Hamas celebra la giornata di violenza come una risposta al «piano di distruzione progettato da Donald Trump». E dalla Striscia di Gaza permette — anche se per ora l’organizzazione non sembra partecipare — alle altre fazioni di riprendere il lancio di razzi e i tiri di mortaio contro i villaggi e le città israeliane. I jet hanno risposto colpendo le postazioni del gruppo fondamentalista.
Anche Abu Mazen dichiara che «questa tensione è colpa dell’iniziativa americana perché cerca di imporre fatti falsi sul terreno». Il leader palestinese ha respinto la «Visione per la pace» — «non passerò alla Storia per aver svenduto Gerusalemme» — e ha minacciato di interrompere qualunque relazione con gli Stati Uniti e Israele.
Ormai gli analisti parlano di tre fronti: Gerusalemme, Gaza, la Cisgiordania. A Jenin, nel Nord dei territori, tre palestinesi sono stati uccisi, uno di loro era un poliziotto con la divisa blu dell’autorità: una prima indagine dell’esercito ammette che non stava partecipando alla battaglia. Gli scontri sono scoppiati quando i genieri di Tsahal hanno demolito la casa dei famigliari di Ahmed Qonbaa, condannato per aver ammazzato un colono nel gennaio dell’anno scorso.
I servizi segreti israeliani temono di dover affrontare un’altra ondata di attentati perpetrati da quelli che vengono chiamati «lupi solitari». Pianificano il raid personale nel chiuso delle loro stanze, spesso senza avere contatti con le organizzazioni estremiste, sono difficili da individuare. Tra il 2014 e il 2015 la serie di attacchi con le automobili, trasformate in armi contro i passanti, è durata così a lungo che gli analisti l’hanno definita «l’intifada delle auto».
@dafrattini