Corriere della Sera

LAVORARE NEL SOCIALE UNENDO TUTTI GLI SFORZI

Impegno Non dobbiamo solo invadere le piazze: interpreti­amo la politica in modo nuovo, purificand­ola da infiltrazi­oni egoistiche lontane dai concetti democratic­i

- Di Don Antonio Mazzi

C aro direttore, comincio male, ma ad uno che ha compiuto 90 anni è permesso tutto, tranne quello che io in questo periodo sto pensando. Ho sempre vissuto tra i giovani, belli e brutti, buoni e cattivi, sapienti e somari, sani e disabili. Perciò, appena leggo e ascolto giovani, divento giovane. Strano, ma vero! Mi contagiano. D’altra parte non ho mai avuto casa. Negli ultimi 35 anni, poi, sono vissuto e vivo giorno e notte nella Cascina «Molino Torrette» nel Parco Lambro di Milano con ragazzi troppo avventuros­i. Per chi ama vivere realmente per i giovani, non perché è prete o genitore, o professore, o educatore, ma «coltivator­e diretto» deve fare con loro famiglia.

E senza accorgersi viene divorato dalle urla dentro le sue orecchie, dalle canzoni strapazzat­e, dalle parolacce, dalle malattie, dalle allegre spintonate, dalle furbate sul filo della legalità, dalle baruffe per una sigaretta e alla fine si trova quasi soffocato da abbracci improvvisi e impensati. E tu, con loro, mangi e bevi la vita non segnando i giorni sul calendario, ma alzando ogni mattina il sipario di una commedia, che non ha niente a che fare con i palchi, ma con una sequenza di giornate, mesi, anni che ti cascano addosso e ti danno l’età che hanno deciso loro di darti. Farsi educare dai giovani è l’unico modo di educarli. Questo teorema non credo sia tanto algebrico e tanto meno psicopedag­ogico, ma, almeno per me, è stato ed è vitale.

Torno alla mia pensata un po’ fuori dalla normalità. Se non avessi 90 anni chiederei a Papa Francesco di lasciarmi entrare nel mondo a 360 gradi. Chi lavora nel sociale e anche nell’educativo deve avere un occhio alle persone, ai giovani, a coloro che deve educare e salvare dalla povertà fisica e culturale come dalle particolar­i situazioni della esistenza; ma l’altro occhio lo deve tenere spalancato sui progetti politici, restando però il prete che sono. Non voglio essere laicizzato o usufruire di permessi eccezional­i. Vorrei solo, insieme ai giovani che hanno ripreso coscienza di quanto sia urgente e parte integrante del loro cammino verso l’immersione autentica nel sociale, invadere non solo le piazze, ma interpreta­re il politico in modo nuovo, purificand­olo dalle infiltrazi­oni egoisticop­aranoiche lontanissi­me dai concetti democratic­i, funzionali allo stare meglio insieme.

Ambizione

Si tratta di coniugare Chiesa e mondo nella visione di una società senza frontiere

Urge fare società, comunità, convivenza positiva, alleanza vera. E io voglio essere lì in mezzo. Mi pare che oggi fare il prete sia incarnarsi per incarnare, correndo il rischio di rendere sacro soprattutt­o ciò che fino a ieri chiamavamo profano.

Papa Francesco dice: «Mai come ora c’è bisogno di unire gli sforzi in una ampia alleanza per formare persone mature, capaci di superare frammentaz­ioni e contrappos­izioni e ricostruir­e il tessuto delle relazioni per una umanità più fraterna». Per arrivare a questi livelli, dobbiamo superare il vecchio concetto di politica, di partito, di clericità, per arrivare, come ci suggerisce Enzo Bianchi, sempre attento nel coniugare Chiesa e mondo, a creare soggetti politici che siano un insieme di voci e di azioni ispirate alla stessa visione di società polietnica e senza frontiere.

Cristo non è entrato nel mondo per portare il mondo dentro al Tempio, come segno di potere religioso e politico, ma per testimonia­re che i cercatori della liberazion­e dalla schiavitù creata dal potere, dovevano battere le stesse strade, correre gli stessi rischi, mangiare lo stesso pane e combattere le stesse ingiustizi­e. Cristo con i dodici ha voluto essere un uomo fino in fondo, per riportare tutto ad unità.

Qualcuno, ridendo, si è domandato se i dodici Apostoli erano dodici sindacalis­ti. Quasi quasi rischio di credere che non sia una battuta. Perché il Vangelo ha reso umano tutto, anche quello che fino a trent’anni prima era «contemplat­ivo» (prendete la parola come interpreta­zione elementare) ed esclusivam­ente rinchiuso nel «sancta santorum». Riporto ancora Enzo Bianchi: «Non possiamo più accontenta­rci di slegare la fede dalla vita e urge trovare altri contenitor­i capaci di non avvelenare le azioni quando divengono politiche. Siamo arrivati alla ricerca urgente di movimenti salvagente».

Queste riflession­i, non vorrei che fossero recepite paranoie di un prete di strada. Dentro di me vive una grande sofferenza. Perché il Vangelo, nel 2020, non possiamo giocarcelo tra la strada e il tempio, tra il corpo e l’anima. Dobbiamo essere interi mentre preghiamo, ma anche mentre viviamo. Come fare non lo so. So solo che dobbiamo avere il coraggio di essere «interi» in tutte le situazioni. Se siamo «sale» lo siamo solo se diamo gusto ai menu quotidiani.

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