AMADEUS, ELODIE, PELÙ FENOMENOLOGIA DI SANREMO
Caro Aldo, il festival della canzone italiana, il festival dei fiori, sono ormai un ricordo. Un palco senza un fiore, caotico e acceso di luci e colori che disturbano chi guarda, tante chiacchiere, poca musica, poca melodia e poche canzoni. Un festival fin troppo frastagliato e interrotto da troppa pubblicità. Colpa dei cambiamenti climatici anche qui?
SCaro Decimo, tanno arrivando decine di interventi sul festival: entusiastici, tiepidi, critici. Ne pubblicheremo alcuni nei prossimi giorni. Molti, come lei, lamentano che Sanremo non sia più una gara di canzoni ma uno spettacolo tv. È così però da almeno trent’anni. In quest’edizione il cambiamento è reso più evidente dalle telecamere che inquadrano talora il dietro le quinte, talora l’esterno del teatro. Una scelta indovinata, che rompe la claustrofobia di quasi cinque ore di diretta da un interno. Semmai si può discutere che un artista importante come Francesco Gabbani esordisca di fatto il giovedì mattina (ha cantato a mezzanotte e un quarto) a un festival cominciato il martedì. Forse i cantanti in gara potrebbero essere più coinvolti, anche se fatalmente questo distoglierebbe il giudizio del pubblico dalla musica (a proposito, mi dicono che si prepari una vittoria di Elodie, il che sarebbe un clamoroso torto a Piero Pelù, che ha palesemente la canzone migliore). Funziona molto la comunicazione non verbale, la rottura dell’illusione scenica, il metateatro o se vuole il metasanremo: la scimmia di Gabbani, la vecchia che balla dello Stato sociale, il battimani con cui Mahmood incluse orchestra e pubblico nella sua canzone, il linguaggio dei segni portato sul palco dalle Vibrazioni. Per il resto, il festival sta confermando la professionalità e l’umanità di Amadeus. Portare, in un contesto depoliticizzato e quindi aperto a tutti, temi come la violenza sulle donne e il rispetto dei diversamente abili significa fare servizio pubblico.