Il segreto del Verona di Juric «Voler bene ai giocatori»
L’hellas, sorpresa low cost, ha fermato Milan e Lazio. E domani c’è la Juve
Perché Handa resta in forte dubbio, il mignolo rotto gli fa male e Conte non vuole correre il rischio di sprecare un cambio a partita in corso, una partita durante la quale i ritmi si alzeranno e serviranno energie fresche. Padelli a Udine se l’è cavata nonostante la ruggine da panchina. Dalla sua ha l’entusiasmo della grande occasione. A Conte e ai difensori il compito di trasmettergli subito fiducia, fin dai primi minuti. Di là ci sarà però un Donnarumma in condizioni strepitose, tornato finalmente al rendimento di due-tre anni fa. La sua valutazione è tornata ai livelli di prima, 70 milioni di euro. Il suo futuro è un enigma, è una storia tutta da scrivere. Ma Gigio, milanista dentro, sente il derby. Nella sua testa, assicura chi gli sta vicino, c’è un obiettivo ben preciso: un derby da protagonista per cancellare definitivamente l’errore che costò la sconfitta al Milan al 92’ il 21 ottobre 2018.
La variabile Theo
Un attaccante aggiunto. E non solo per i 6 gol in 20 presenze fra campionato e Coppa Italia, che fanno di Hernandez il miglior marcatore del Milan. Un terzino. Che però gioca prevalentemente dalla metà campo in su, dove sa essere devastante: recupera, crossa, tira. La scommessa vinta di Maldini. La controindicazione però c’è: dietro, il francese concede troppo. Come si è visto sul gol del Verona, quando ha perso completamente Faraoni. È lì, in quella crepa, che l’inter si deve infilare. Conte non ha ancora scelto chi mettergli di fronte. Tre scelte: il più difensivo D’ambrosio, oppure Candreva e Moses, più attaccanti. Scelta determinante: un gran pezzo del derby si deciderà lì. 9° posto
● Il Verona neopromosso è una delle sorprese del campionato: dopo 22 giornate è 9° a 31 punti
● Dopo i pareggi con Milan e Lazio in trasferta, domani alle 20.45 c’è la sfida in casa con la Juve
Uno alla volta, alla fine li ha abbracciati tutti, perché fermare la Lazio all’olimpico tre giorni dopo aver pareggiato a San Siro con il Milan lo ha «riempito d’orgoglio». In realtà, se potesse, Ivan Juric ogni tanto abbraccerebbe i suoi giocatori anche durante la partita. Perché «devono sapere che gli vuoi bene, che hai fiducia in loro. È la base che mi ha insegnato la vita».
L’empatia tra i giocatori e l’allenatore del Verona ha creato una specie di miracolo sportivo, che domani si confronta con la Juventus: l’ultima arrivata in serie A, attraverso un playoff avventuroso vinto con un allenatore interinale (Aglietti), ha anche il monte ingaggi più basso (25 milioni, 6 in meno dello stipendio di Ronaldo) e prima del via era considerata già spacciata. E invece.
Invece Juric, assieme al d.s. Toni D’amico, ha radunato una truppa di svincolati (Veloso, Lazovic), prestiti (Gunter, Pessina, Verre), sconosciuti da Croazia e Belgio (Rrahmani, Amrabat), ragazzini (Kumbulla, Salcedo). E ha costruito un’identità di gioco precisa con il 3-4-2-1 e le marcature a tutto campo, frutto delle sue esperienze da giocatore (con Gasperini), delle sue passioni extracalcistiche (Phil Jackson guru dei Lakers) e delle sue visite di aggiornamento (da Guardiola al Barcellona).
Il giocattolo più economico di tutto il campionato a tratti è spettacolare, è a un punto dall’europa League, ha già venduto Rrahmani al Napoli e Amrabat alla Fiorentina per 30 milioni complessivi di plusvalenza e adesso ha in vetrina sopratutto Kumbulla (cresciuto nel vivaio), Zaccagni e Faraoni, dopo aver rivitalizzato anche il vecchio bomber Pazzini, grazie ad allenamenti personalizzati. Juric stesso ha un contratto che scade a giugno e con i suoi principi di gioco sta conquistando parecchi estimatori dopo le tribolate stagioni al Genoa, tra esoneri e ritorni di fiamma.
I principi umani però sono quelli che stanno facendo davvero la differenza e non a caso l’allenatore di Spalato (che in carriera ha vinto la B a Crotone) è diplomato a Coverciano con una tesi sull’aspetto motivazionale del suo lavoro.
Figlio di una maestra di sostegno e di un professore dissidente del regime jugoslavo costretto poi a reinventarsi una vita con lavori umili fino a diventare dirigente di una grande azienda, Juric non fa mai giri di parole e ha il culto della sincerità, il secondo ingrediente del suo piccolo miracolo dopo quello basilare della fiducia: «Dirsi tutto in faccia, anche le cose brutte». Senza dimenticare di volersi bene. Oltre che di pressare, correre e marcare a uomo.