«Le vie della droga e il doppio volto dei criminali in tv»
Il protagonista Byrne, uomo d’affari colluso nella serie «Zerozerozero» tratta da Saviano
Il volto presentabile del narcotraffico in Zerozerozero ha i tratti eleganti e malinconici di Gabriel Byrne. Trent’anni passati negli Stati Uniti non sono bastati a cancellare l’anima profondamente irlandese dell’attore, che il nostro pubblico ricorda nei panni di Cristoforo Colombo e dell’indimenticabile Keaton de I soliti sospetti. Uno che alla recitazione è arrivato relativamente tardi, dopo aver scartato l’idea di fare il prete (sei anni in seminario), il calciatore, l’archeologo, persino il cuoco. E che ama fare le cose a modo suo. Nella nuova serie firmata da Stefano Sollima e diretta con Pablo Trapero e Janus Metz (dal 14 febbraio su Sky Atlantic) interpreta il ruolo dell’imprenditore Edward Lynwood, leader di una rispettata società di navigazione in affari con i gruppi criminali.
Ispirata al romanzo di Roberto Saviano, la serie segue la rotta di un carico di cocaina dalla Colombia a Gioia Tauro, tra cartelli messicani, ’ndrine calabresi e uomini d’affari. Tutti coinvolti nel mercato più redditizio del pianeta.
«La sceneggiatura fotografa alla perfezione l’ipocrisia dei nostri tempi: la cocaina nel mondo globalizzato e iperconnesso è una merce come un’altra. Per avere le dimensioni che ha, questo mercato deve godere della cooperazione
Il profilo serie tv, In treatment, Marco Polo, War of the worlds e collusione di banche, società finanziarie, imprenditori e professionisti, compagnie di navigazione come quella che dirigo insieme ai miei figli, Emma e Chris (Andrea Riserborough e Dane Dehaan)».
Il suo armatore è un uomo al sopra di ogni sospetto.
«Il prodotto della dialettica tra economia legale e illegale. Non siamo sufficientemente consapevoli di quanto quella illegale influenzi ogni aspetto della nostra vita. Il traffico di non riguarda certo solo i pusher o i tossicodipendenti».
Come ha dato Lynwood? vita a
«Giocando sulla sua ambiguità. È un padre amorevole a cui è capitato di diventare criminale, convinto di poter difendere la sua rispettabilità. Si preoccupa della continuità dell’azienda e sa che solo la figlia Emma potrà prendersi cura del fratello che ha una terribile malattia genetica. Ho tre figli, capisco questo suo aspetto. Vive di contraddizioni, è un personaggio non bidimensionale, come è difficile ormai trovare a Hollywood interessata a un cinema di buoni e cattivi, supereroi che salvano il mondo».
Per questo dal Paul Weston di In treatment, per cui vinse un Golden globe, la vediamo spesso in tv?
«Scelgo con cura i progetti, non mi interessano i blockbuster pieni di personaggi stereotipati. Meglio il teatro o serie tv come questa che sono la prova che l’europa ha molto da dire nel settore».
Prodotta da Cattleya con Bartlebyfilm per Sky Studios, «Zerozerozero» ha le dimensioni di un kolossal: location in cinque paesi, recitata in sei lingue, 148 giorni di riprese, diecimila comparse. Come si è trovato?
«Un progetto gigantesco, è vero. Ma la cosa bella è che Stefano è molto sicuro di sé e rilassato, abbiamo lavorato con lo spirito di un film indipendente,
Contraddizioni
Il mio personaggio vive di contraddizioni, a differenza di quelli americani: buoni o cattivi con un tocco artigianale italiano che ho già amato in passato quando ho recitato per i film di Ricky Tognazzi, o Peter Del Monte. Mi sono formato con il vostro cinema: Fellini, Antonioni».
Nei suoi 40 anni di carriera è cambiato tutto.
«Il passato è passato, non sono un tipo nostalgico. Viviamo in un mondo dominato dalla tecnologia che insieme ci unisce e ci divide. Bisogna essere consapevoli delle scelte. La cosa che mi sta più a cuore è l’attenzione ai cambiamenti climatici. Se non facciamo qualcosa, non ci sarà altro di cui parlare».
Su Sky
Una scena di «Zerozerozero», la nuova serie Sky ispirata al romanzo di Saviano, diretta da Stefano Sollima, Pablo Trapero e Mauricio katz. Al centro della trama la rotta di un carico di cocaina tra Italia, Africa, Messico e Usa d’invenzione della fantasia del compositore austroboemo. Alla Scala però è ora tornato con Bruckner, per molti versi il rovescio della stessa medaglia tardoromantica. Dove in Mahler vi è fantasia e imprevedibilità in Bruckner vi è una dottrina inimmaginabile nell’armonia e nel contrappunto. Soprattutto in quella specie di trattato di composizione che è la «Sinfonia n.5 in si bemolle maggiore». Quella di Inbal, in replica venerdì, non è esecuzione senza macchie. La Filarmonica scaligera non è del tutto a fuoco. Ma il bello della serata è che l’opera arriva al pubblico non come trattato, appunto, ma come pagina potente e generosa nell’espressione, nei colori, nella ricchezza di fraseggio. La si fa raramente ma arriva come un classico.