Trump e il ministro, la crisi dei tweet
Barr (Giustizia): «Rendono impossibile il mio lavoro». Il processo a Roger Stone scuote il governo
WASHINGTON Il ministro della Giustizia William Barr resta in bilico. A meno che non abbiano ragione i democratici che hanno liquidato la «rivolta» dell’attorney General come «un trucchetto» per placare la rabbia dei funzionari e dei magistrati del Dipartimento di Giustizia.
Il nuovo incidente istituzionale è nato giovedì 13 febbraio, quando Barr ha rilasciato una sorprendente intervista alla Abc: «I tweet del presidente rendono impossibile il mio lavoro, ma non ho intenzione di farmi intimidire da nessuno». Barr è sotto assedio da martedì 11 febbraio, quando i suoi uffici sono intervenuti per «correggere» la richiesta di pena a carico di Roger Stone, lobbista, uomo d’affari e sodale di vecchia data di Trump. Nel novembre scorso Stone è stato giudicato colpevole per falsa testimonianza davanti alla commissione Intelligence del Congresso: nelle audizioni negò di aver contattato Wikileaks a proposito delle email sottratte dai server del comitato elettorale di Hillary Clinton.
Il 20 febbraio la giudice Amy Berman Jackson fisserà l’entità della pena. Il 10 febbraio la Procura aveva chiesto «dai sei ai nove anni di carcere». Il giorno seguente Trump aveva attaccato duramente i magistrati con una serie di tweet: «È un processo vergognoso, lo stanno trattando (Stone ndr) come se fosse un assassino». Poche ore dopo il Dipartimento di Giustizia faceva sapere che la posizione dei procuratori era «eccessiva e indesiderata».
Ieri mattina Trump, su Twitter, ha estrapolato una frase dell’intervista di Barr: «Il presidente non mi ha mai chiesto di fare nulla in caso criminale», aggiungendo: «questo non significa che io non abbia, in quanto presidente, il diritto legale di farlo, ma ho scelto di non intervenire!». Un’uscita ambigua che alimenta la confusione a Washington. Barr, ha anche dichiarato: «Sono consapevole delle conseguenze delle mie parole». Il leader dei senatori repubblicani Mitch Mcconnell lo difende: «Penso che il presidente farebbe meglio ad ascoltarlo». La Speaker della Camera, la democratica Nancy Pelosi, invece, accusa il ministro di «aver danneggiato profondamente lo Stato di diritto, sconfessando la Procura».
Nel frattempo quattro pubblici ministeri si sono ritirati dal caso Stone; uno di loro si è dimesso dal Dipartimento di Giustizia. Il ministro ha accettato l’invito a testimoniare pubblicamente davanti alla commissione Affari giudiziari della Camera. L’audizione è fissata per il 31 marzo.
L’attorney General, 69 anni, è diventato ministro esattamente un anno fa, il 14 febbraio 2019. Ha sempre cercato di tutelare il presidente, in particolare nell’inchiesta sul Russiagate, condotta dal Super procuratore Robert Mueller. Barr ha assecondato le teorie complottiste più strampalate. Nell’agosto scorso si era presentato in Italia chiedendo informazioni sul professore Joseph Misfud, sospettato di aver ordito una trama per screditare «The Donald». Un teorema giudicato privo di qualsiasi fondamento dall’intelligence americana.