Corriere della Sera

Zaky non esce «Nella mia cella siamo in 35»

Udienza negativa. Per l’italia un sorriso: forza Bologna

- Di Francesco Battistini

«Sono in una cella con 35 persone, abbiamo una latrina soltanto, la finestra è piccolissi­ma». Sai che hai intorno tanta solidariet­à? «Sì, bene, grazie, bene così». Zaki Suleimani ieri mattina era nel tribunale di Mansura. I giudici dovevano decidere se liberarlo. Così non è stato: «Deve restare in carcere».

«La mano, datemi la mano». Come stai, Patrick? «Tutto bene…». Nella stanzetta delle udienze riservate, aula 4 del terzo piano del palazzacci­o di Mansura, il pericoloso libero pensatore viene portato in manette alle dieci e mezza. Sfila nella luce dei neon bianchi e lungo i banconi della corte, in una folla d’avvocaticc­hi di provincia, di graduati con la pancia e i baffoni, di venditori di caffè. Il caso 1.372 di Patrick George Michel Zaki Suleimani è stato inserito nel calendario del sabato mattina: subito dopo la denuncia d’un furto di mobili, la querela d’una moglie contro il marito troppo violento, una lite fra i soci d’una finanziari­a. Già buono che l’abbiano accettato in una settimana, dice un diplomatic­o, di solito le istanze di scarcerazi­one slittano molto più in là…

Fa freddo, fuori c’è la nebbia e dentro s’annuvola il fumo delle sigarette. Sotto una sura dorata del Corano che esalta il Regno della Giustizia, Zaki guarda i suoi carcerieri. Ha di fronte i tre giudici e una sentenza che deciderà se rilasciarl­o. Gli occhi addosso, sa come si deve rispondere in questi casi: tutto bene, sì, cibo ottimo e abbondante...

Ma poi, ma poi. Appena la tensione si scioglie, il ragazzo ha l’ansia di chi sarà anche sbarbato e avrà i capelli tagliati di fresco e una camicia verdolina ben stirata e porterà pure jeans di marca e scarpe da ginnastica senza stringhe, sembrerà magari uno normale, eppure qui c’è poco di normale. Zaki ostenta calma, non ha segni visibili di botte e sta meglio che all’ultimo colloquio di giovedì, nella calca gli finiamo a fianco e stavolta trema: gli prendiamo la mano sinistra lasciata libera dalle manette e mentre parlano gli avvocati, lui stringe e ascolta le domande che gli sussurriam­o. Ti trattano bene? «Very bad situation». Tanto brutta? «Sono in una cella con 35 persone, abbiamo una latrina soltanto, la finestra è piccolissi­ma». Sai che hai intorno tanta solidariet­à? «Sì, bene, grazie, bene così». Dai, fai un sorriso, prima o poi tornerai a vedere le tue partite di pallone: che cosa diciamo all’italia? «Forza Bologna».

La paura ha gli occhi persi d’un ricercator­e universita­rio di 27 anni, elettrific­ato come altre migliaia di poveracci per avere scritto che il potere è marcio. Smarrito fin qui in una storia «più grande di lui», come dice il suo amico Gasser Abdel Razek, e in una vicenda che nell’equiparazi­one a Regeni sta scappando di mano anche agli egiziani. Difensori, diplomatic­i, giornalist­i, pacifisti: la piccola scia del pubblico è una confusione di ruoli, l’udienza era a porte chiuse ma fa nulla, e i poliziotti si confondono pure loro, non sanno chi può e chi no, in una quindicina c’infiliamo dietro Patrick in quel bugigattol­o e a sentire quel che ne sarà. Dieci minuti soltanto d’udienza, mezz’ora appena di consiglio e a mezzogiorn­o il destino si compie: sabato prossimo si discuteran­no le accuse di sovversion­e dello Stato, per cinque settimane non si parlerà più di scarcerazi­one e ora basta — toc! — la seduta è tolta. La giustizia di Al Sisi se ne infischia che la cristianis­sima famiglia di Zaki sia lontana parente del papa copto Tawadros II, delle autorevoli telefonate partite in queste ore dall’europa per evitare l’ennesimo scontro, dei quattro diplomatic­i Ue (italiano e svedese) ed extra Ue (statuniten­se e canadese) venuti a «monitorare» questa palese violazione della libertà d’opinione, dei quattro amici d’infanzia saliti dal Cairo, dei quattro avvocati ingaggiati dall’ong Eipr che si batte per i troppi diritti calpestati delle persone. L’avvocatess­a Huda Nasrallah s’accalora fino a irritare i giudici: «L’accusate sulla base d’un profilo Facebook falso! L’avete torturato sei ore in aeroporto! L’avete trattenuto 30 ore illegalmen­te! L’avete interrogat­o senza difensore! Gli imputate cose accadute in Egitto mentre lui era in Italia!». Anche Patrick prova a dire la sua, ma a bassa voce: «Io sono solo un ragazzo che era atterrato al Cairo per venire a Mansura a salutare la famiglia. Sono solo un laureato che vuole finire il suo master a Bologna. Voglio solo tornare alla mia borsa di studio. Mi hanno messo in carcere perché hanno letto dei post sull’account d’un nome che non era il mio. Mi hanno denudato per ore in una sala, mi hanno preso a schiaffi in faccia. Lasciatemi libero».

Niente. La sentenza di rigetto non ha bisogno di motivazion­i, e infatti i giudici non ne danno agli avvocati che le chiedono. Al caffè Oscar, poco fuori, ci s’abbraccia e un po’ ci si dispera: quando lo rivedremo? E se si facesse venire gente dall’europa per organizzar­e un flash-mob al Cairo? «Follie, finirebbe malissimo — dicono all’eipr — nell’egitto di oggi è troppo pericoloso fare queste cose». Qualcuno ha scattato una foto a Zaki: come l’hanno portato in aula, così se lo sono ripresi in prigione. Trascinato giù per le scale, la testa schiacciat­a da un secondino, le manette strette dietro il buio d’una gabbia.

 Condizione molto dura Abbiamo una latrina soltanto, la finestra è piccolissi­ma L’amicizia dimostrata dagli italiani? Sì, bene, grazie...

Udienza a porte chiuse, ma si entra. Nella calca il ragazzo trema e ci parla a bassa voce

 ??  ?? Palazzo Patrick George Zaki all’udienza nel tribunale di Mansura. A destra, la facciata del Palazzo di Giustizia nella città sul delta del Nilo, dove il giovane è stato condotto dopo l’arresto al Cairo
Palazzo Patrick George Zaki all’udienza nel tribunale di Mansura. A destra, la facciata del Palazzo di Giustizia nella città sul delta del Nilo, dove il giovane è stato condotto dopo l’arresto al Cairo
 ??  ??
 ??  ??
 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy