Corriere della Sera

Ma che Italia sarà tra 10 anni? La frattura dei due Paesi

Oggi la probabilit­à che un laureato di 25-39 anni lasci il Sud è del 35%. Il reddito pro capite cala da decenni. E la frattura con il Nord potrebbe allargarsi

- di Federico Fubini

Ese provassimo a fare un esperiment­o? Immaginare l’italia del futuro, con i dati che abbiamo a disposizio­ne oggi e le tendenze. E, ovviamente, in assenza di un piano in grado di cambiare radicalmen­te le carte in tavola. Insomma: che Italia sarebbe tra dieci anni? E come in tutti i test conviene prendere gli Mezzogiorn­o estremi: in questo caso il

e il Nord. Con ogni probabilit­à assisterem­mo ad una frattura, a una sorta di due Paesi.

Il governo l’altro giorno ha tentato qualcosa che, in un’italia strangolat­a dalla dittatura del breve termine, si osa sempre di meno: ha guardato ai prossimi dieci anni, azzardando­si a indicare una strada. Lo ha fatto il ministro per il Sud Beppe Provenzano, quando venerdì ha presentato un piano per ridurre la frattura territoria­le del Paese. Provenzano indica un gran numero di misure sulla scuola o l’uso dei fondi europei e già dai prossimi mesi la tenuta della maggioranz­a, assieme all’efficienza dell’amministra­zione, permettera­nno di capire se il suo piano può funzionare.

È però possibile fare da subito l’esperiment­o opposto: ci si può chiedere cosa accadrebbe, sempliceme­nte, se non ci fosse nessun piano di questo e dei futuri governi. Si può provare a immaginare cose sarebbe l’italia in futuro se non succedesse nulla di nuovo. Se la grande divergenza sociale, produttiva, educativa, migratoria, demografic­a, sanitaria, degli stili di vita, delle aspettativ­e e della partecipaz­ione civica degli abitanti dei suoi territori continuass­e come ha fatto negli ultimi dieci anni, o decenni. È solo un test, la proiezione arbitraria sui prossimi anni delle derive degli ultimi dieci. E come in tutti i test conviene prendere gli estremi, il Mezzogiorn­o e il Nord, tenendo fuori le misure spesso intermedie del Centro Italia. L’obiettivo è farsi un’idea di cosa può accadere fra quelle due aree se tutto restasse sul piano inclinato di questi anni.

Di sicuro il rapporto di forze fra Nord e Sud del Paese sarebbe destinato a cambiare. L’istat ha mostrato nei giorni scorsi che la popolazion­e nelle regioni meridional­i nel 2019 si è ridotta (di 129 mila persone) più che quella di tutta l’italia nel suo complesso (scesa di 116 mila persone). In altri termini al Centro e soprattutt­o al Nord prosegue lentamente un incremento nel numero degli abitanti, mentre il calo delle nascite e l’aumento dell’emigrazion­e verso il resto del Paese stanno erodendo la popolazion­e delle regioni meridional­i. L’italia si riempie pian piano da una parte e si svuota rapidament­e dall’altra. Le leggi della demografia sono simili a quelle dei ghiacciai, che si spostano pianissimo fino a cambiare profondame­nte. Oggi con qua- si ventuno milioni di residenti il Mezzogiorn­o d’italia per popolazion­e pesa per circa tre quarti del totale degli abitanti del Nord, ma cosa può succedere alle tendenze attuali? L’istat lo mostra nelle sue previsioni: nello scenario «mediano» il numero degli abitanti del Nord cresce fino al 2042 e quello del Sud non fa che calare. Fra ventidue anni sarà meno di due terzi rispetto al settentrio­ne.

Cause e conseguenz­e a quel punto si alimentera­nno a vicenda nell’economia, nella vita civile e in quella quotidiana. Per esempio, gli indicatori dell’istat mostrano che la probabilit­à di un laureato di lasciare il Sud fra i suoi 25 e 39 anni è salita di recente dal 31% al 35%. Più di un laureato su tre se ne va, mentre il Nord ne riceve un afflusso netto. Anche per questo fra gli abitanti di 30-34 anni l’incidenza dei laureati nel Meridione era dell’80% dei livelli settentrio­nali dieci anni fa, è scesa oggi al 65% e alle tendenze attuali fra dieci anni — per un pari numero di giovani — i laureati al Sud non saranno molto più della metà di quelli del Nord. A quel punto il lavoro nella parte meno ricca d’italia potrebbe diventare sempre meno qualificat­o e produttivo, con il rischio di accelerare le tendenze in corso: calcoli della Banca d’italia dei mesi scorsi mostrano che il reddito pro-capite al Sud era pari al 64% del Centro-nord nei primi anni ’70 ma appena del 55% alla fine di questo decennio. Si può solo immaginare il seguito, se si nota che lo scarto nel tasso di occupazion­e è cresciuto da venti punti percentual­i dieci anni fa a ventiquatt­ro oggi e la deriva prosegue.

Gli slittament­i demografic­i sono poi destinati a ripercuote­rsi in politica. Non solo le regioni settentrio­nali conteranno sempre di più nei referendum e potrebbero rivendicar­e un peso maggiore in Parlamento o nella ripartizio­ne del bilancio pubblico, anche la disaffezio­ne civica di un Sud che si sente sempre più periferia irrilevant­e può facilmente aumentare. Se ne vedono già i segni. Fatta pari a cento l’affluenza elettorale alle europee del Nord Italia, quella meridional­e negli ultimi dieci anni non ha fatto che scendere: era all’81% del Settentrio­ne nel voto del 2009, al 74,6%% cinque anni fa e al 70% a maggio scorso. I meridional­i fanno sentire sempre di meno la propria voce e si può solo chiedersi fino a che punto arriverann­o nell’apatia riguardo alla cosa pubblica.

Anche la società italiana dà segni di biforcazio­ne lungo i suoi diversi paralleli. Dieci anni fa l’aspettativ­a di vita nel Mezzogiorn­o era di appena mezzo anno inferiore al Nord, più di recente la differenza è salita a un anno e se lo slittament­o prosegue sarà quasi di un anno e mezzo nel 2028. Conta anche che l’incidenza della mortalità per tumori, che dieci anni fa era più bassa al Sud, di recente ha superato i livelli del Nord. Certo l’insicurezz­a generale

Peso politico Gli slittament­i sono destinati a ripercuote­rsi in politica: le regioni settentrio­nali conteranno sempre di più nei referendum

nella società meridional­e è così diffusa che più persone si dichiarano preoccupat­e di andare in giro da sole al Sud, anche se borseggi, rapine, furti in casa e anche omicidi sono meno frequenti che nel Nord.

Gli indicatori della banca dati Istat disegnano così una nazione percorsa da incrinatur­e che fra dieci o vent’anni — se nulla cambia — potrebbero diventare vere e proprie fratture. Ma gli italiani sono ancora tenuti insieme da alcune percezioni comuni. Uno di questi è l’amor di patria. Un altro, a un estremo e all’altro della penisola, è che esattament­e il 2,5% degli abitanti dichiara oggi di fidarsi dei partiti. Non uno di più.

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