Corriere della Sera

«Facciamo come gli inglesi» Salvini attacca l’ue, poi precisa

«Se non cambia, non ha senso». L’affondo dopo la svolta «moderata» di Giorgetti

- Marco Cremonesi

MILANO Dopo la svolta, la controsvol­ta. Matteo Salvini ha preso la parola ieri mattina con un Facebook live per dire che «o l’europa cambia oppure non ha più senso di esistere». Per poi aggiungere: «Gli inglesi hanno dato dimostrazi­one che volere è potere. O si sta dentro cambiando le regole di questa Europa oppure, come mi ha detto un pescatore di Bagnara Calabra, “ragazzi, facciamo gli inglesi”». Insomma: «O le regole cambiano o altrimenti è inutile stare in una gabbia dove ti impediscon­o di fare il pescatore, il medico e il ricercator­e».

Toni e accenti in fondo tutt’altro che nuovi nella Lega e anche da parte di Salvini stesso. Peccato soltanto che la settimana era cominciata con un’assai pubblicizz­ata conferenza alla Stampa estera, convocata proprio per riposizion­are il partito rispetto ad alcuni temi, primo tra tutti l’unione Europea: «La nostra priorità non è uscire da qualcosa, ma la crescita economica». Data, 13 febbraio. Il giorno dopo, con un’intervista al Corriere, un Giancarlo Giorgetti fresco di nomina a responsabi­le Esteri del partito, era stato ancora più chiaro: «Noi non vogliamo uscire». Un giorno, ancora, il 15 febbraio, arriva la controsvol­ta: «Facciamo gli inglesi». I suoi spiegano che la linea è quella annunciata di fronte ai giornalist­i stranieri, anche se in qualche specifico caso, o contesto

Nuova sede Matteo Salvini, 46 anni, ieri a Sedrina, vicino a Bergamo, dove ha inaugurato una sezione del partito con due parroci, don Pierangelo Redondi e don Roberto Mocchi (Lapresse) pubblico, ci può essere qualche sfumatura diversa.

Resta il fatto che i leghisti avevano ribattezza­to la conferenza alla Stampa estera come «operazione credibilit­à internazio­nale». Lo stesso Salvini, nelle ultime settimane, si era posto il problema di affidare le posizioni del partito a dipartimen­ti specifici e non a sortite d’occasione. Di qui, anche la nomina di Giorgetti, in buon anticipo su quelle di diversi altri dipartimen­ti, proprio per l’urgenza di coordinare la politica estera leghista a 360 gradi: dai rapporti con gli Stati Uniti a quelli con i partiti che oggi aderiscono al Ppe fino appunto alla fisionomia della Lega in relazione a Bruxelles. Più tardi, sarà lo stesso leader leghista a precisare la sua dichiarazi­one: «Continuiam­o testardame­nte da anni a dire le stesse cose. O l’europa cambia o muore. È quello che dice anche Giorgetti, stiamo lavorando come matti per cambiare alcune regole europee».

In realtà, proprio l’intervista di Giorgetti al Corriere, sui social network era stata accolta anche in maniera critica proprio per la nitidezza del no alla Italexit. Ma non si trattava soltanto dei militanti. Claudio Borghi, per esempio, via Twitter la mette così: gli insipienti giornalist­i italiani «non fanno mai l’unica domanda che va rivolta a quelli che dicono di voler cambiare

La linea Giovedì alla Stampa estera le rassicuraz­ioni sull'ue. Ieri le critiche in diretta Facebook

la Ue (tutti) che è sempre quella: “E se ci dicono di no?”». Insomma, qualora la strada «entrista», il cambiare l’unione dall’interno non dovesse approdare ai risultati sperati, l’uscita italiana resta tra le opzioni possibili. Ma dentro la Lega c’è anche chi ritiene che la sortita di Salvini possa essere interpreta­ta come un altolà a Giorgetti.

Resta da capire se i corrispond­enti esteri comprender­anno le «sfumature» diverse. Come pure quelli italiani: svolta e controsvol­ta nel giro di 72 ore, forse è un po’ troppo.

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