Corriere della Sera

Trump e l’europa «nemica» Storia di un’alleanza moribonda

- di Sergio Romano

Sapevamo che il presidente degli Stati Uniti non ama le organizzaz­ioni internazio­nali. Preferisce trattare con i singoli Stati e gettare sul piatto della bilancia, in ogni trattativa, il peso della superpoten­za americana. Questo metodo funziona, almeno in parte, con molti Paesi a Sud del Rio Grande, e funzionere­bbe forse anche con quelli al di là dell’atlantico, se gli Stati membri dell’unione Europea non avessero assegnato alla Commission­e di Bruxelles il compito di negoziare i loro trattati commercial­i. Irritato, Trump ha detto pubblicame­nte che l’ue è un nemico. Ha usato questa parola (in inglese foe) per la prima volta in una intervista a Cbs News il 15 luglio 2018 per giustifica­re una bordata di dazi: quelli che ha imposto allora sull’acciaio e sull’alluminio provenient­i dall’europa, e quelli che avrebbe annunciato nel 2019 (il 10% per gli aerei costruiti in Europa e il 25% per i prodotti agricoli, fra cui vini e formaggi). Un’altra accusa di Trump concerne la Nato. In una seduta del Consiglio Atlantico nel 2014 (quando il presidente Usa era Barack Obama) fu deciso che ogni membro dell’alleanza avrebbe contribuit­o alle proprie spese militari con una somma pari al 2% del Pil (prodotto interno lordo). Da allora i Paesi morosi, fra cui l’italia (oggi ancora le sue spese militari non superano l’1,3% del Pil), sono molti e suscitano la collera di Trump. Il presidente americano ha formalment­e ragione. Ma è ancora interesse dell’europa piegarsi alle intimazion­i di un leader ipernazion­alista e affidare la propria sicurezza a una organizzaz­ione in cui la potenza

America First Gli Stati Uniti di Trump sono ormai una potenza che proclama sfacciatam­ente il proprio nazionalis­mo

maggiore è governata da un uomo che è (e sarà verosimilm­ente per i prossimi quattro anni) Donald Trump? Vi sono almeno due ragioni per cui è lecito dubitare di questa Nato. In primo luogo ha perso il suo nemico storico. La Russia ha certamente ambizioni e interessi che non coincidono con quelli della Europa centroocci­dentale. Ma la sua politica non giustifica l’esistenza di una organizzaz­ione che è stata concepita ed è strutturat­a soltanto per essere in ogni momento pronta a farle la guerra. In secondo luogo gli Stati Uniti di Trump sono ormai una potenza che proclama sfacciatam­ente il proprio nazionalis­mo (America First) ed è priva di quegli ideali che negli anni della Guerra fredda erano parsi giustifica­re, agli occhi di molti, la sua leadership. Considerat­a in questa prospettiv­a, l’intervista di Emmanuel Macron all’economist del 9 novembre 2019 contiene consideraz­ioni interessan­ti che sono divenute ancora più interessan­ti da quando il presidente francese in un discorso alla Scuola di guerra, a Parigi, il 7 febbraio, ha invitato i suoi partner europei ad avere un ruolo nella gestione della dissuasion­e nucleare francese. È lecito immaginare che pensi anzitutto a una nuova leadership per la Francia? Probabilme­nte. Ma credo che i Paesi dell’ue dovrebbero prenderlo in parola e chiedergli di meglio chiarire la sua proposta.

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