Vino e cibi: tregua di 6 mesi sui dazi Usa
Niente rincaro delle tariffe doganali. Il prelievo per Parmigiano, liquori e salami resta al 25%. Il caso Airbus
Nessun rincaro dei dazi, lista invariata dei prodotti colpiti. L’amministrazione americana conferma il prelievo del 25% alla dogana su formaggi, aperitivi e liquori. Ma resta fuori, ed è un sollievo per i viticoltori, l’export di vini che da solo vale circa 1,7 miliardi di dollari. Salvi anche olio d’oliva (436 milioni di vendite sul mercato Usa) e la pasta (305 milioni di dollari). Nella notte di San Valentino, l’office of United State Trade Representative, guidato da Robert Lighthizer, ha pubblicato la lista delle tariffe doganali, riviste dopo il primo elenco adottato il 18 ottobre 2019. È il pacchetto di misure adottato dagli Stati Uniti su autorizzazione del Wto (World Trade Organization) a titolo di risarcimento per i finanziamenti Ue ad Airbus. Le tariffe incidono su un volume di 7,5 miliardi di dollari, il conto per l’italia è pari a circa 450 milioni e tocca soprattutto le eccellenze agroindustriali: Parmigiano Reggiano, Grana Padano, Pecorino (i formaggi valgono 312 milioni di dollari di export); il comparto degli aperitivi e dei liquori (163 milioni di dollari), i salumi
15 per cento il dazio fissato dagli Stati Uniti per l’acquisto di velivoli Airbus. In precedenza era del 10%
(circa 50 milioni).
Nelle scorse settimane si erano diffuse sensazioni allarmanti. Lighthizer sembrava orientato a estendere le penalizzazioni anche a vino, olio, pasta e altre voci dell’export alimentare. Nello stesso tempo si temeva che potesse aumentare il prelievo sui formaggi. È un elastico che ora è al 25%, ma che in teoria può arrivare fino al 100%.
Alla fine il consigliere di Donald Trump, fautore di una linea intransigente nel commercio internazionale, ha deciso solo di ritoccare il dazio dal 10 al 15% sui velivoli dell’airbus acquistati dalle compagnie aeree Usa. Per il resto «modifiche minori», si legge nel comunicato ufficiale, che non riguardano l’italia. Attenzione, però, perché non finisce qui. La Casa Bianca continuerà a «monitorare» i rapporti commerciali tra Usa e Ue. In ogni caso procederà a «nuova revisione dell’elenco» tra 180 giorni, circa sei mesi.
Nel frattempo il governo italiano rivendica «il successo» dell’altro ieri, visto che il pericolo di un’escalation era reale. L’ultimo ministro in missione a Washington, Enzo Amendola, Affari europei, ha riconosciuto il lavoro «di tutto l’esecutivo, compatto e unito». In particolare ha «ringraziato il sottosegretario agli Esteri, Ivan Scalfarotto (nelle scorse settimane a colloquio con i consiglieri di Trump) e il grande lavoro dell’ambasciata italiana a Washington».
C’è soddisfazione anche tra le categorie produttive più minacciate. Ecco Nicola Bertinelli, presidente del Consorzio Parmigiano Reggiano: «Accogliamo con entusiasmo questa notizia. Abbiamo lavorato nella direzione giusta, facendo squadra con le altre Indicazioni geografiche, credendo fermamente che la Commissione europea fosse l’unico tavolo sul quale portare avanti le trattative». Pietro Mastroberardino, presidente del gruppo vini di Federvini: «Il mercato Usa rappresenta il primo sbocco per il nostro vino. Un trend che rischia di rallentare, perché rimane la spada di Damocle dei dazi. Le nostre aziende saranno di nuovo in ansia e non avranno modo di programmare investimenti e pianificare l’attività».
Il presidente della Coldiretti, Ettore Prandini, chiede «di riprendere la via del dialogo con gli Usa, ma anche di attivare al più presto aiuti compensativi ai settori colpiti che rappresentano più del 10% totale delle esportazioni Usa». Massimiliano Giansanti, numero uno di Confagricoltura, spinge per «avviare un negoziato diretto con gli Stati Uniti».