Corriere della Sera

Ilaria Capua: «Africa a rischio Questo morbo girerà il mondo»

- di Adriana Bazzi

La cronaca quotidiana, dedicata al coronaviru­s, continua a suscitare ansie nel pubblico e invita a consultare gli esperti per avere qualche chiariment­o in più.

Questa volta ci risponde Ilaria Capua, famosa per avere deciso, nel 2006, quando lavorava all’istituto Zooprofila­ttico delle Venezie, di rendere pubblica la sequenza del virus dell’influenza aviaria (sfidando le chiusure della comunità scientific­a internazio­nale).

Fu poi messa alla gogna, da certa stampa, con l’accusa (infondata) di «trafficare in virus» (ma si trattava di normali scambi di materiali di studio). Poi è emigrata negli Stati Uniti dove oggi dirige, all’università della Florida, l’one Health Center of Excellence dove si studia la salute umana, ma anche quella animale. E da li ci risponde.

Due nuove notizie, dottoressa Capua: il primo caso di coronaviru­s in Egitto, che ha quindi messo piede nel continente africano. E il primo morto in Francia, un paziente cinese di ottant’anni.

«Queste notizie non stupiscono: il virus si diffonde. Il caso francese è comprensib­ile perché si tratta di una persona anziana, più fragile nei confronti del virus. Quello che più preoccupa è l’africa, a partire dal Cairo che è una megalopoli con milioni di persone, a volte nemmeno censite. E poi tutto il continente dove buona parte della popolazion­e è povera, malnutrita, già soffre di altre malattie infettive come la malaria, la tubercolos­i o le infezioni da Hiv (il virus dell’aids) che la rendono più fragile».

Si può parlare di «pandemia» (tecnicamen­te significhe­rebbe la diffusione mondiale dell’infezione) anche se al momento i casi al di fuori della Repubblica popolare sono pochi e sotto controllo?

«Sì, si può parlare di pandemia perché la popolazion­e del pianeta non ha anticorpi di difesa contro questo virus nuovo. E probabilme­nte le eccezional­i misure di contenimen­to dell’infezione in Cina non impedirann­o al virus di uscire, volta per volta, e di fare il giro del mondo».

Ma la Cina si è comportata

"Sistema immunitari­o La popolazion­e del pianeta non ha anticorpi contro questo virus nuovo

correttame­nte?

«Sì, ha fatto uno sforzo “erculeo”, tenendo conto del contesto dove si è sviluppata questa epidemia. In una città come Wuhan, con undici milioni di abitanti, moltissimi studenti, con un sistema sanitario pubblico non sempre all’altezza di una simile emergenza, dove ci sono sacche di povertà estrema e dove la medicina scientific­a è affiancata da quella tradiziona­le cinese. Il contenimen­to è stato efficaciss­imo: nessun Paese avrebbe potuto fare tanto».

Si dice che questo virus sia arrivato dai pipistrell­i o, forse, da altri animali «intermedi» che vengono consumati come cibo dai cinesi. Ma quanto ha giocato la «peste suina» che sta decimando i maiali in Cina privando la gente di una fonte di proteine importante, incrementa­ndo il consumo di «animali alternativ­i»?

«La peste suina è un grave problema in Cina, ma dovrebbe preoccupar­e anche l’italia (forse più del coronaviru­s, come confermano sequestri di carne infettata a Padova, ndr)».

Ma perché c’è sempre la Cina di mezzo quando capitano queste epidemie?

«No, non è sempre così. Il problema sono gli squilibri che si creano fra uomo e ambiente. Ovunque. In Cina, ma anche in Africa per dire. Pensiamo all’aids: il virus arrivava dalle scimmie e ha contagiato l’uomo. E il virus Ebola (che attualment­e sta facendo una strage nella Repubblica Democratic­a del Congo, ndr)è emerso dagli animali per via delle deforestaz­ioni e ha raggiunto l’uomo».

«La salute è circolare», conclude Ilaria Capua. Uomini e animali sono uniti. E si scambiano i virus.

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