Anziani morti in corsia, indagata l’ex direttrice «Raggirò l’infermiera»
Ravenna, il nuovo fascicolo dopo l’assoluzione
La vicenda
● Daniela Poggiali, 47 anni, è l’ex infermiera dell’ospedale di Lugo (Ravenna) condannata in primo grado all’ergastolo per aver avvelenato nel 2014 un’anziana paziente con un’infusione di cloruro di potassio e il sospetto di averne uccise altre trenta
● Lo scorso anno, Poggiali è stata assolta in appello e considerata bersaglio di una congiura che avrebbe portato alla manomissione della prova regina, il deflussore della flebo dove è stato trovato il potassio
● La Procura generale di Bologna, favorevole all’ergastolo, ora ha chiesto alla Cassazione di annullare l’ultima sentenza: l’udienza è il 18 settembre
«Intelligente, fredda, spietata... Si è resa responsabile di numerosi omicidi, neppure lei sa quanti...: ergastolo». «Nessun omicidio, è vittima di una grave macchinazione ordita ai suoi danni...: assoluzione con formula piena». Due Corti, due opposte sentenze, una sola donna: Daniela Poggiali, l’infermiera quarantasettenne dell’ospedale di Lugo arrestata e condannata in primo grado alla pena a vita per aver avvelenato nel 2014 un’anziana paziente, Rosa Calderoni, con un’infusione di cloruro di potassio e il sospetto di averne uccise altre trenta; poi, lo scorso anno, assolta in appello e considerata bersaglio di una diabolica congiura che avrebbe portato alla manomissione della prova regina, il deflussore della flebo della paziente dove è stato trovato il potassio.
«Ma quale congiura, quale vittima, questa è un’ipotesi infondata, irrazionale e gravissima», ha replicato la Procura generale di Bologna, favorevole all’ergastolo, chiedendo alla Cassazione di annullare l’ultima sentenza. Qual è, dunque, la verità? Spietata assassina o vittima di un inganno? Nero o bianco? Perché le mezze misure, in questa brutta storia che ha scosso il cuore della Romagna, non esistono.
In attesa della decisione della Suprema Corte (udienza fissata per il prossimo 18 settembre) a muoversi sono anche i magistrati di Ravenna con il procuratore Alessandro Mancini in prima persona, costretti ad aprire un fascicolo per sondare l’ipotesi della Poggiali vittima, dopo averla a lungo indagata come killer con il forte dubbio della serialità. Il procedimento, avviato qualche mese fa, ha portato ora all’iscrizione di un nome nel registro degli indagati: quello di Ivonne Zoffoli, direttrice dell’ospedale di Lugo all’epoca dei fatti. L’accusa ipotizzata è la simulazione di reato o, in alternativa, la calunnia. Ma attenzione perché questa è un’inchiesta anomala, destinata probabilmente a spegnersi in una richiesta di archiviazione. D’altra parte se così non fosse crollerebbe in un sol colpo l’intero castello accusatorio degli stessi inquirenti romagnoli.
A farlo vacillare è stata l’ultima spiazzante sentenza di assoluzione, quella della Corte d’assise d’appello di Bologna: «La paziente non è stata uccisa... Siamo in presenza di una manomissione dolosa della prova forte contro la Poggiali ed è evidente che i maggiori sospetti non possono che addensarsi sui pochi operanti di quel reparto», aveva messo nero su bianco il presidente Orazio Pescatore.
Dura la reazione della sostituta procuratrice generale, Luciana Cicerchia, che, credendo invece fermamente nella colpevolezza dell’infermiera, nel suo ricorso lungo sessanta pagine è scesa in campo a difesa della Zoffoli: «La sentenza convoglia i sospetti su Ivonne Zoffoli, ma questo è del tutto illogico. Quale motivo poteva mai muovere la direttrice a creare prove contro la Poggiali o a manipolarle? Risentimento? Odio? Vendetta?... Nulla di tutto ciò per il semplice fatto che non la conosceva personalmente. E poi non aveva alcun interesse a che la struttura da lei diretta finisse coinvolta in uno scandalo». E ha sottolineato come la Corte non abbia invece preso in considerazione alcuni elementi considerati importanti dall’accusa: i dati della consulenza statistica riguardante i decessi all’ospedale di Lugo, con i picchi di mortalità toccati quando la Poggiali era in servizio, le testimonianze che la descrivono come spregiudicata, le sue parole sulle fiale di potassio come sistema per risolvere i problemi dei pazienti critici... «Suggestioni che tanta parte hanno avuto nell’indirizzare le indagini», le ha liquidate la Corte.
Nel frattempo, lei, Daniela Poggiali, è in libertà. «Si occupa della madre malata», spiega il suo avvocato, Lorenzo Valgimigli. Tornerà a fare l’infermiera? «Non può, è stata radiata dall’albo professionale». Su di lei pesano le condanne per i furti in corsia e peculato e le foto choc scattate con le pazienti decedute. L’avvocato, naturalmente, sta con chi l’ha assolta: la Poggiali non sarà uno stinco di santo, ma non è un assassina. La Corte la vede bianca. La Procura no, nera.
Le sentenze Daniela Poggiali fu prima condannata all’ergastolo e poi assolta in appello